Caduta

A cadere ci si riesce da soli, ma per rialzarsi
ci vogliono le mani di un amico
(Proverbio yiddish).

Oggi (nel giorno in cui ho scritto) sono caduto.

E’ capitato, come sempre in questi casi, inaspettatamente.

Sono scivolato e mi è sembrato di prendere il volo, dapprima all’indietro e poi per automatica reazione tutto in avanti, andando a battere sul pavimento bagnato e duro, molto duro.

Ritrovarsi a gambe all’aria (posizione opposta) e non fare a tempo ad accorgersi che sta succedendo proprio a te.

Anzi, lo dici a te stesso, che non te ne sei accorto, qualche istante dopo, se stai bene.

E per fortuna mi sono subito rialzato. Sano. Con l’aiuto di alcune braccia.

A me è capitato nel bel mezzo di un affollarsi di donne e con a fianco la mia compagna.

E tutte a informarsi, quasi maternamente con visi allarmati: Cosa è successo? Come stai? Riesci a camminare? Hai bisogno di qualcosa?

Poteva essere un infortunio grave, invece è stato soltanto qualche ammaccatura, alle viste riassorbibile.

Nell’immediato, lo scivolone non era ancora compiuto, ho pensato: che figura di emme! Subito dopo, istantaneamente: poteva andarmi peggio! E poi ancora: sono proprio distratto! Infine: certo che il pavimento era molto bagnato! Qualcuno avrebbe dovuto provvedere!

Ed ecco anche una battuta, non espressa: meglio distratto che distrutto (tipica mia autoironia).

Solo qualche minuto dopo ho realizzato: ero tanto sopra pensiero, non guardavo dove mettevo i piedi, in pratica già volavo di mio … Meno male che posso fare questi pensieri senza dover ricorrere ad un medico!

I segnali nella realtà arrivano sempre e sono decisamente squillanti quando non siamo connessi con noi stessi e con il mondo. Sta a noi accorgercene, a elaborarli e magari impegnarci di più nel vivere il cosiddetto qui e ora, quale che sia la cosa che stiamo facendo.

Sì, sono stato fortunato!

E sono grato.

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Immagine: Uomo che cade by Pixabay


Ritorno a casa?

… se Paradiso unisce l’intelligenza dell’uomo all’intelligenza della natura …

C’è una città che mi fa sentire a casa ogni volta che ci torno. Ci sono andato tante volte, ho perso il conto. Da solo, in coppia, in compagnia. Ogni volta andarci è come pensare ad un Paradiso. Ripartire dispiace ma non troppo perché senti che ci ritornerai presto.

Oggi il solo pensiero di Assisi mi fa sentire a casa. Nonostante la lontananza. I ricordi sono vividi. Ci sono stato come visitatore e turista, come fervente religioso, come fervente scettico, come dubbioso, come ricercatore di qualcosa di autentico e di superiore, come distratto camminatore, come ispirato meditatore.

Sto scrivendo queste cose e sento dentro di me non solo il desiderio di tornarci presto, ma anche la certezza che entro l’autunno ci tornerò.

Assisi: Francesco è sempre qui, diceva una nota giornalista di turismo. (1)

Eppure Assisi mantiene intatta la sua particolarità di piccola città mondiale della fede e dei valori universali. In effetti tutto in questa città di neanche 30.000 abitanti, il cui nome pare derivare dal nome del torrente che l’attraversa (2), è costruito e vive attorno a quanto ha lasciato il “poverello” ed è impossibile non restarne coinvolti, sia che si creda sia che non si creda. Direi anche sconvolti se ci si immedesima solo un po’ nelle sue tracce.

E’ anche straordinaria la fusione tra arte e religione, come anche tra natura e spirito: in tante chiese e in tanti eremi e conventi, nonché nel recente nuovo “Bosco di San Francesco”, vi si possono trovare moltissimi spunti di riflessione e meditazione.

E dopo il viaggio quello vero, quello dentro di me stesso, come sempre, corro al ristoro, come quello di chi torna a casa, e pensa alla strada che ha percorso e a quella, lunga e impegnativa, che deve ancora affrontare.

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Citazione:  da Cambiamento Sociale oggi, di Gianni Faccin – Note ispirate da Il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto ed. Marsilio

Immagini: Terzo Paradiso in Bosco di San Francesco Assisi – by GiFa 2018

Testo: da Ora ti ascolto … e poi? – di Gianni Faccin – Gedi 2022

Note: (1) Monica Guerrieri – TCI; (2) Wikipedia: La città umbra ebbe il nome di Asisium e fu monumentalizzata a partire dal II secolo a.C. Nell’89 a.C. divenne municipium e fu un importante centro economico e sociale dell’Impero romano. Il suo toponimo ha origini prelatine, e conservando un’incerta etimologia, viene interpretato in due differenti modi. Città del falco, o dell’astore oppure dalla base latina ossa ovvero torrente con ovvio riferimento al fiume Assino.


1976

Mentre vivi il tempo adulto … non dimenticare mail il tempo del primo amore, quando il tuo cuore udì parole diverse ed eterne, gli occhi videro un altro sguardo. Perché non è bugia, è solo lontano.

Mi è capitato spesso di pensare agli anni della giovinezza con un certo stupore mischiato a curiosità. Come mi è capitato recentemente nel prendere in mano un vecchio portachiavi d’argento. Un ricordo importante che mi ha riportato ai miei 19 anni.

Distanza non distanza.

Era d’estate, di quelle normali, caldo, ma non devastante. I vestiti un po’ bagnati di sudore, ma non per il caldo. Il motivo era ben altro. Era il giorno del mio compleanno e un gruppo di amici mi festeggiava con ardore e grande affetto, seppur con un certo rispetto, perché conoscevano la mia timidezza ben visibile, ben evidente. E io sapevo di questa loro cautela come sapevo che li amavo e che mi amavano.

Il mio sudare dipendeva dalle emozioni che provavo e che son felice di aver provato e un po’ riconosciuto.

Oggi dire 1976, l’anno in questione, è un po’ come quando in quei tempi si diceva 2023, un anno che sapeva di universale, lontanissino, di altri pianeti, di esplorazioni spaziali. Insomma dire oggi 1976 mi pare di essere un pochino fuori dal mondo. Eppure è lì, per quanto lontano.

Se ripenso a quell’anno, ai miei 19, e riprendo in mano il vecchio, ma ancora lucido, portachiavi rivedo anche uno sguardo dolce, attento, uno sguardo tenero e al contempo di attesa. E’ da quello sguardo e dagli sguardi che precedettero quel momento e che inevitabilmente lo seguirono, che oggi posso dire di vivere un tempo adulto sì, ma un tempo che pur lontano è vicino. Indimenticabile. Irripetibile. Uno sguardo che tuttavia si ripete da oltre quattro decenni. Uno sguardo attualissimo partito da lontano. Uno sguardo autentico che attira gli occhi e al contempo il cuore all’unisono.

E’ il tempo dell’amore, che veramente non ha età.

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Citazione: da La comunità fragile di Luigino Bruni – Città nuova ed. 2022

Immagine in evidenza: Sguardo misterioso al sole by GiFa 2022


Tenerezza

La tenerezza ci salverà … Quando il canto diventa poesia e preghiera …

Si può vivere senza ricchezza, quasi senza soldi.
Signori e principesse non ce ne sono quasi più.
Ma vivere senza tenerezza noi non si può. 

Si può vivere senza la gloria che non prova nulla,
essere uno sconosciuto nella storia e sentirsi bene. 
Ma vivere senza tenerezza non se ne parla proprio. 

Che dolce debolezza, che bella sensazione questo bisogno di tenerezza
che abbiamo dalla nascita, davvero! 

Nel fuoco della giovinezza nascono i piaceri
E l'amore fa prodezze per abbagliarci. 
Ma senza tenerezza l'amore non sarebbe nulla.  

Un bambino ci bacia perché lo rende felice. 
Tutti i nostri dolori spariscono, abbiamo le lacrime agli occhi. Dio mio!

Dio, nella tua immensa saggezza e immenso fervore, 
fa’ dunque piovere incessantemente nel profondo del nostro cuore
torrenti di tenerezza perché regni l’amore, fino alla fine del tempo.

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Citazione: by GiFa 2022

Immagine: Love and Orphan by Pixabay

Testo: traduzione di Tendresse di Marie Laforet Discogs 1964


Anche le panche hanno un’anima

Torno a parlare di panche e panchine e con questo pezzo chiudo la serie …

Una mattina, al mio risveglio, mentre preparavo il caffè, notai come la vecchia panca ancora in buono stato, si fosse leggermente spostata dal suo posto abituale, vicino ad un albero amico, forse per prendere una pausa. Non mi sono preoccupato della cosa perché è capitato spesso che qualcuno la spostasse di qualche metro per trovare una migliore posizione panoramica. E’ divenuta una consuetudine che si ripete ormai da anni annorum.

Sta di fatto che da qualche tempo un tagliaboschi lavorava a ripulire lo spazio circostante e confinante con il sentiero che dà accesso al bosco ceduo di pini e abeti. Ogni giorno alla stessa ora, quando mi accingevo a preparare la moka per il caffè, iniziava il lungo e intermittente lamento della motosega, certamente un fastidio da vicino, ma una simpatica compagnia sonora da lontano che comunica che “c’è attività, ergo c’è vita”.

E’ bello osservare come quel sentiero, dapprima libero e distinguibile da lontano, si addentri dolcemente nel folto della boscaglia che gradatamente diventa come una grande parete rocciosa frastagliata e colorata di verde di svariate lucenti tonalità, man mano che si alza il sole.

Recentemente sono successe alcune cose che mi hanno confermato quanto già pensavo in passato: anche le panchine hanno un’anima.

Circa dieci giorni or sono il taglialegna agì con forza sull’albero amico. Ne fece legna da ardere. Quella pianta, forse malata, non c’è più. Rimangono i suoi pezzi diligentemente accatasti nelle vicinanze a fare legnaia. Non me ne accorsi subito ma a cose fatte.

Dispiace quando avvengono fatti così definitivi, ma è il senso del “ceduo”. E poi mi sono chiesto: e la panchina sua compagna di vita?

Infatti anche la panchina non era più nella zona usuale, si trovava più in alto lungo il sentiero quasi all’imbocco del bosco. Nell’immediato mi è parsa una fuga, ma non volevo drammatizzare.

Senza tirare conclusioni ho deciso così di controllare la nuova escalation giorno per giorno, anche perché il punto in questione, pur essendo lontano, si trova ben visibile esattamente di fronte al mio punto di osservazione.

E’ così che oggi, mentre scrivo, siamo agli inizi di settembre, ecco una nuova sorpresa: la panchina è sparita, se ne è andata, ha cambiato posizione perché probabilmente non ha accettato l’affronto fatto all’albero amico e secondariamente a essa stessa.

Ho chiesto in giro. Chi mi ha preso sul serio stando al gioco ha detto che forse si è stufata di essere usata, di essere spostata a seconda dei comodi altrui. Di essere allontanata dal suo habitat naturale, di non essere rispettata nei suoi spazi personali.

Non stento a credere a queste possibilità, ma mi sembra più credibile che la vecchia panchina abbia cambiato idea e si sia spostata in altra zona ove vi fosse più sintonia tra le componenti della natura.

Legno chiama legno?

Il problema è che ora ci sono sempre meno persone sulle panchine?

Troppi segreti da portare? Infatti si dice che i parchi siano pieni di segreti: sentono le confidenze che si fanno gli innamorati, gli amici e le persone che si incontrano sulle panchine.

Troppe incisioni da far male? O troppe stronzate condivise?

Sopra la panca la capra campa? Sotto la panca la capra crepa?

Difficile da dire.

Io non so cosa sia effettivamente successo, però ne possiamo derivare che anche le panche nel loro legno hanno un’anima.

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Citazione e immagina a cura di GiFa2022


Il dono del lampone

Chi cerca trova, ma per trovare veramente occorre cambiare modalità di ricerca

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Inizialmente avevo pensato ad un titolo diverso: la regola del lampone oppure la legge del lampone. Alla fine ho scelto il titolo esposto perché ho sentito questa cosa più come un dono, disinteressato da parte della Terra madre, solo successivamente come un insegnamento.

Da qualche tempo in un piccolo orto coltivo i lamponi, le cui radici mi sono state donate molti anni fa da un caro parente, amante della natura. Avrei tanto preferito altri frutti di bosco, per esempio le more. Poi sono arrivati i lamponi e questi si sono ambientati nella dimora di famiglia, in montagna, e hanno lentamente fruttificato, di anno in anno sempre di più. Anche io mi sono adattato: preferirei le more perché hanno un sapore acidulo e poi sono ricche di vitamine e molto altro. I lamponi invece, pur sostanziosi come vitamine, sono molto più dolci, morbidi e delicati. E’ proprio per questo che non li preferirei alle more di rovo, che assaporo molto di più.

In ogni caso si tratta di piante che non tutti apprezzano per la loro capacità di essere fastidiose. Infatti tendono a moltiplicarsi a tal punto da essere bollate come infestanti. Io, però, tra more e lamponi ho trovato una sostanziale differenza. Mentre le more sono prevalentemente bene in vista e si possono cogliere a colpo sicuro evitando le spine ben distribuite sui gambi della pianta, i lamponi sono prevalentemente nascosti. Infatti le piante singole non mettono bene in evidenza i frutti che devono essere cercati sotto le foglie e al raccoglitore capita facilmente di sentirsi pungere dai gambi distribuiti sul terreno in modo disordinato.

C’è una cosa particolare che mi colpisce dei lamponi.

Quando credi sia finita la raccolta, eccone spuntare di nuovi. E ancora, quando credi siano esauriti, giorno per giorno, ne vedi di nuovi e se guardi bene, sotto tra le foglie, ne scopri altri che se ne stavano in attesa, ma ben coperti, quasi giocassero a nascondino.

Per andare bene ho scoperto una regola di comportamento: non mi fermo soltanto ad alcuni punti di osservazione, ma ne pratico di nuovi e di diversi in modo che l’individuazione dei lamponi maturi possa avvenire completamente. Solo e soltanto in questo modo si possono godere tutti i frutti offerti dalle piante. Mi colpisce proprio questa circostanza: non puoi dare per scontato di averli scovati tutti, ce n’è sempre qualcun altro ben nascosto. Talvolta non è sufficiente alzare le foglie o abbassare i gambi spinosi, serve proprio un punto di osservazione altro, diverso. Certi miei movimenti di ricerca dei frutti mi colgono di sorpresa e mi rido addosso in solitudine, essendo decisamente comico, ma sono posizionamenti utili a vedere i lamponi che non si vedono negli appostamenti usuali.

Un po’ come nella vita: è sempre utile assumere punti di vista diversi per vedere le cose in maniera diversa, senza fermarsi alle prime impressioni. Fa bene innanzitutto a noi che lo facciamo, un po’ come le vitamine dei lamponi.

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Citazione: by GiFa 2022

Immagine: Raspberries by Pixabay


Senza social

Le cose sono due: o sei social o non sei nessuno.

In questi giorni sto cercando di tenere a bada il grande fastidio che continua a crescere in me leggendo o ascoltando quanto sta avvenendo nel mondo virtuale. Lo tengo a bada perché lo sappiamo in tanti quale sarebbe la scelta più ovvia da fare il mese prossimo. Invece io ci tengo ad esercitare i miei diritti e quindi se voglio farlo è meglio che riesca a non farmi condizionare da questo immane senso di fastidio. Mi riferisco in particolare, in questo periodo, ai salotti tv e ai post sui social che dovrebbero essere educativi o almeno utili e costruttivi e non gare di mega-manipolazione, di insulto e di menzogna. Non ci sono soltanto i politici e politicanti, ma anche persone qualsiasi che di tutto parlano, spesso senza sapere di cosa stanno trattando. Sono gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, qui al maschile, ma vale anche al femminile. Cito parzialmente Leonardo Sciascia. Anzi il grande scrittore andava giù di brutto ben di più, ma questo è un altro discorso.

Nei miei piani c’era da tempo l’impegno di limitare il più possibile l’abbeverarmi al pozzo del mondo virtuale. Non ci sono ancora riuscito, ma ho deciso di dare un taglio netto e forte a questo bere. Una dieta ferrea quindi. Purtroppo mi è necessaria perché tocco costantemente con mano quanto sia distante la realtà odierna dall’approccio dei media citati. Spesso vale anche per i giornali che fanno da continua cassa di risonanza. Infatti, e non voglio generalizzare, accade giornalmente che testate storiche e consolidate riportino quanto viene scritto su Facebook, Twitter, ecc. e che spesso non me ne può fregare di meno oppure rischia di intrappolare l’attenzione su questioni di retro bottega.

Oggi il virtuale ci dice che ci sono varie cose da cambiare nel sistema e per questo occorre il nostro voto. In genere sono slogan, luoghi comuni e vere e proprie favole, che, tra l’altro, cambiano nel giro di poche ore. Forse questa frenetica corsa all’autodistruzione potrà divertire qualcuno, peccato però che al contempo ci sono milioni di poveri assoluti e che anche questo dato è in forte crescita, non cresce soltanto il prezzo del gas o l’inflazione. E si potrebbe dire ben di più.

Su questo esempio possiamo trarre la certezza che la realtà è una cosa (le bollette che stanno arrivando a tutti non sono bufale) e quanto tutti leggiamo o raccontiamo sui social è un’altra cosa che ci distrae e ci porta fuori partita.

E poi se non si scrive qualsiasi cosa sui social non ti senti parte della società. Non sei protagonista. In definitiva credo che ormai o possiedi un profilo social e non esisti. Riguarda chiunque, ad ogni età.

Penso che sia importante, non soltanto per me, non sprecare più di tanto energie e tempo per concimare il mondo social, riuscendo invece a ripristinare le vere app che contano e che, a mio parere, partono dai bisogni autentici di ognuno. Da dentro di noi.

Nel mio caso sento bisogno di prendere la distanza in modo deciso dal virtuale di massa e di dedicarmi a ciò che conta veramente e che può avvenire nell’incontro reale tra le persone. In quella che considero la connessione autentica, riuscire per esempio nella vita di tutti i giorni ad essere più assertivo ma anche più vitale e di stimolo con gli altri.

Dunque meno virtualità e più attenzione alle relazioni: cercare di sintonizzarmi con gli altri, ascoltando attivamente, rispettando i diritti di chi mi sta innanzi facilitando il reciproco arricchimento interiore; nello scrivere e nel parlare raccontando e raccontandomi in modo semplice e chiaro in ogni occasione con le parole ma anche con ogni altro mezzo disponibile; esprimermi al meglio, mostrando le parti di me, dichiarando i miei stati d’animo; instaurare relazioni soddisfacenti puntando alla condivisione di bisogni, valori e obiettivi.

Senza social si può vivere e vivere bene.

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Citazione: da codencode.it/essere-o-non-essere-social-siamo-liberi-di-scegliere/

Immagine: eyes by Pixabay

Riferimenti nel testo: Il giorno della civetta – Leonardo Sciascia – Gli Adelphi


So

Credere è “accogliere tra le proprie convinzioni o opinioni, per intima persuasione, per adesione spirituale, per un atto di fede; dare credito a qualcosa, ritenerlo vero …”

So.
So che ci sei, esisti e governi tutto.
Sì che abbiamo bisogno di Te, tutti.
Facciamo finta di riuscire ad arrangiarci, a fare da soli.
E a campare.
Scarichiamo il lunario ... illusi.
Sento che se non ci fossi tutto non avrebbe senso.
Eppure vorrei capire di più, scoprire di più, ma non è dato a nessuno di riuscirci.
Allora ricorro ai simboli e alle rappresentazioni, ai riti consolidati non sempre cercati.
Ti intravvedo in qualche immagine con cui vieni raccontato, descritto.
Solo in alcune.
In molte altre, quasi tutte, non mi ritrovo.
Non puoi essere così scontato, schematizzato ...
In ogni caso so.
So che ci sei, esisti e governi tutto.


Citazione: da Wikipedia significati

Immagine: donna che crede e prega, by Pixabay


Le radici

La casa è come un punto di memoria, le tue radici danno la saggezza e proprio questa è forse la risposta e provi un grande senso di dolcezza. E te li senti dentro quei legami, i riti antichi e i miti del passato. E te li senti dentro come mani, ma non comprendi più il significato …

O forse lo immagini e credi di comprenderlo.

Mi ha fatto un certo effetto riprendere in mano una foto come quella evidenziata. E’ una bella foto anche se scattata un po’ di corsa. Soprattutto è stata per me – specialmente di recente – molto importante per la consapevolezza di essere legato a qualcosa e a qualcuno di presente, di passato e, in un certo senso, di futuro.

Ho trovato risposta alla domanda che mi ponevo ogni qualvolta prendevo in mano l’album Radici di Francesco Guccini. Il famoso Lp riporta a tutta copertina la foto di antenati di famiglia. La domanda era “che senso ha questa immagine”? E la risposta era quasi sempre la stessa fino a quando ho intravisto qualcosa di importante anche in coloro che non ho mai incontrato di persona. Già da giovane mi rispondevo che era importante il legame familiare perché era chi direttamente o indirettamente mi aveva aiutato a nascere, a crescere e a diventare una persona adulta. Magari senza tante parole, oppure con esempi, sicuramente con scelte di vita semplici e complicate. Qualcuno finendo la propria vita in giovane età, qualcun altro facendo la propria parte fino a quasi cent’anni. Qualcuno vivendo in serenità nonostante tutto e qualcun altro lottando e soffrendo contro le avversità preponderanti nella sua vita. Chi in solitudine per scelta o disavventura, chi contribuendo ad una famiglia numerosa, chi senza famiglia oppure senza possibilità di generare. Ci sono state anche malattie devastanti oppure meno, ma quello che ricordo è la ricerca non costante ma presente di contatto e dialogo.

Ad un certo punto mi sono reso conto che capivo fino in fondo quel celebre detto: senza radici non si vola. (1)

Sì, ho cominciato a sentire con chiarezza dentro di me che non solo non si poteva fare a meno degli antenati vicini e lontani, ma che ogni singolo aveva a suo modo contribuito anche al mio destino. Con una reciprocità che come minimo interessava tante persone, tutte le persone presenti e non presenti della foto riportata.

L’importanza dell’antenato (nato prima) va assolutamente riscoperta. Non basta una vita per riuscirci, essendo al contempo in campo per essere noi antenati di qualcuno.

E’ una ruota che gira, si potrebbe dire. In realtà sento che è un filo invisibile che ci lega tutti assieme, alcuni più di altri. Ma tutti siamo collegati a quel filo, del quale non conosciamo né l’inizio né dove finisce. Conosciamo solo un tratto, in parte corrispondente al nostro vissuto.

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Citazione: da Radici di Francesco Guccini (brano tratto dall’album Radici EMI 1972)

Immagine: foto parenti del 1962 da archivio storico famiglia Pamato – Marchioro – Faccin – Lionello

Riferimenti testo: (1) Senza radici non si vola di Bert Hellinger – Ed. Crisalide 2001 (libro sulla terapia sistemica)


Non è un paese per giovani …

E’ vero, il nostro non è un Paese per i giovani

Ritorno sui temi che hanno più rilevanza mediatica in questi giorni che compongono ormai una strana estate. Sappiamo tutti perché. Eppure pare non sia possibile dare una guida seria, o almeno tentare seriamente di farlo, alla comunità italiana. In fondo ce lo meriteremmo, o no?

Gli slogan si sprecano. Le battute e contro battute anche. Conta la pancia e quanto la pancia fa esprimere sui social, quali che essi siano. Al di là dei cosiddetti siparietti che era facile prevedere dopo il rinnegamento di un governo sicuramente di emergenza ma autorevole e fattivo, ci troviamo a poco più di un mese dalle fatidiche elezioni, da qualcuno continuamente invocate, con i problemi generali e particolari che si aggravano secondo un modello che io definisco glocal, mentre i candidati a guidarci stanno offrendo scene aperte e non nascoste che dire vergognose è dir poco. E senza distinzione di parte.

Io credo che nel 2022 stare ancora a distinguere le cose tra destra e sinistra non abbia più importanza. Torna il centro? Ma che senso ha se al centro, ritenuto moderato, si posizionano dei veri estremisti di potere? Non tanto per idee, ma per i comportamenti dettati dalla personalità narcise che possiedono.

Metà degli elettori non vanno più a votare da tempo. I segnali chiari di disaffezione sono antichi. Più che disaffezione è un vero sentimento di rassegnazione-disgusto-rifiuto. E’ quello che anche io provo. Con l’uscita di scena del governo cosiddetto tecnico (in realtà c’è ancora e ci sta tenendo a galla) io ho provato una grande rabbia per come siamo fatti tutti noi, giacché dagli errori non impariamo mai, anzi continuiamo a farne di peggiori, rabbia che in qualche modo ho manifestato nei miei due scritti precedenti di luglio. Ma oggi provo disgusto. Mi viene in mente quell’immagine tipica del neonato che a fronte di qualcosa di non gradito, in modo inconsapevole fa vedere con le smorfie del viso la propria contrarietà emotiva. Mi sento così.

C’è una speranza? Sì infatti è l’ultima a morire. E così cerco di superare il senso di disgusto.

Pare si siano formati, dopo i continui svarioni di questi giorni, tre poli non certo innovativi ma regolati dalle indicazioni di voto potenziale (sondaggi), quindi non liberi ma condizionati dai pressing mediatici che non sono certo indipendenti. In base alle categorie del 18° secolo nascenti dalla rivoluzione francese (1) c’è una destra composta da tre formazioni politiche tendenzialmente conservatrici di privilegi e bravissime a “raccontarci” i valori popolari nonché a fingere unità d’intenti. Che dire? Fanno il loro lavoro e sono veramenti bravi a fare marketing, niente da aggiungere. A parte il disgusto. C’è una sinistra che non sa ben comunicare e che non è mai riuscita ad impostare un percorso attrattivo di bene comune. Anzi è sempre stata, nonostante le esperienze vissute, bravissima a frammentarsi (2), a mettere i puntini sulle tante “i”, creando le condizioni perché le buone intenzioni, pur presenti, restassero soltanto verbalizzate. Da quanto vedo nella mia realtà non c’è da tempo neanche la volontà di provare a guardare nella stessa direzione. Le formazioni di questa parte fanno ormai capo ad unica squadra che pare detenga un interessante impatto elettorale. Ma personalmente ho seri dubbi sulla sua attuale e reale attrattività. Nient’altro da aggiungere, a parte l’irritazione consolidata. Infine c’è la novità di un centro che nasce per puro calcolo di convenienza e che è il mettersi insieme di narcisi nostalgici dei fornai (nota metafora di andreottiana memoria), personaggi il cui ego smisurato li pone nelle condizioni di chi vuole essere unico al comando. Non intravedo moderazione in queste aggregazioni, soltanto la sfrontata voglia di emergere e di prevalere. E di non perdere il posto. Si badi bene l’impatto complessivo potrebbe valere meno del 10%. Certo che frequentare distinti fornai potrebbe essere decisivo, come nella nostra prima repubblica. E in tal caso chiedo scusa a chi il fornaio lo fa di mestiere. Non c’è altro da aggiungere, a parte il fastidio profondo. (3)

Le domande che mi pongo e che spero si pongano le persone sono due: perché dovrei andare a votare? E perché dovrei votare uno dei tre poli?

Anche io, stando a quanto successo finora, me ne resterei a casa. Ma penso che il diritto di votare che ancora la Costituzione ci riserva non vada ulteriormente vanificato. E’ troppo importante. Chi ha esperienza di “condominio” sa quanto poco divertente sia partecipare alle assemblee condominiali, ma quando ci sono i problemi comuni – anche quelli meno importanti – è più utile fare la propria parte, confrontarsi, dire il proprio pensiero e esprimere un voto, anziché lamentarsi in ascensore con il primo che passa. E’ importante e determinante partecipare. Il nostro Paese è un grande condominio che non riesce ad esprimere un amministratore stabile, serio ed autorevole. Se poi ce n’è uno di serio ed autorevole lo facciamo andare via. Come succede spessissimo in molti condomini. Dunque, è importante andare a votare. E al momento non ci resta che questo.

Alla seconda domanda non so al momento rispondere.

Tornando alla speranza tirata in ballo in precedenza, dico solo questo: è vero il nostro non è un paese per i giovani. Nessuno se ne sta occupando e soprattutto nessuno evidenzia una strategia di cambiamento che passi attraverso un autentico ascolto delle giovani generazioni e un loro coinvolgimento che non sia solo di facciata come avvenuto spesso sinora.

Immagino che, tenuto conto dei tempi stretti per andare a votare, la competizione elettorale si limiti ad essere una partita per la conquista di seggi. Quindi di spartizione di potere. I contenuti, i programmi, gli orientamenti saranno proclamati successivamente.

La polarizzazione di oggi è complicata dalla presenza di altre formazioni che parrebbero emarginate nello scenario attuale, pur essendoci tra esse forze che hanno governato negli ultimi quattro anni. E ce ne sono altre residuali, troppo residuali, che non facilitano una ricomposizione.

Mi aspetto, ed è una speranza, che almeno da una delle formazioni in campo arrivino seri segnali di programma da sottoporre al giudizio dei cittadini. Pochi, ma veri e fattibili. Chiari e leggibili. D’accordo gestire ed affrontare le varie emergenze che stiamo vivendo – dal clima alle priorità sociali, dal lavoro ai diritti – ma soprattutto costruire una idea di futuro per le nuove generazioni.

Io sarei per un “facciamolo”. Ma questi sono i rappresentanti che abbiamo. Ad alcuni di loro dico: “almeno proviamoci”.

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Titolo e rriferimenti nel testo: presi in prestito dal film di Giovanni Veronesi, Non è un paese per giovani del 2017

Immagine: by Pexel – foto di Sarah Chai

Nota (1): da Treccani Enc. – Fu la Rivoluzione francese a introdurre la distinzione tra quelli che sono diventati i tre punti di riferimento convenzionali dei sistemi politici contemporanei: destra, sinistra e centro. Nel maggio 1789, riunitisi gli Stati generali, i membri del Terzo stato si divisero nell’emiciclo: i conservatori si accomodarono a destra, i radicali e i rivoluzionari a sinistra. Il centro dell’emiciclo fu invece connotato polemicamente come ‘palude’, in quanto spazio indistinto e senza identità

Nota (2): da Il Foglio – Giuliano Ferrara: Molte liste, molto onore. I liberali, specie in Italia, convertono il loro innato individualismo in tribalismo. Allo stato un raggruppamento va con il Pd, uno raccoglie firme, un altro va da solo. Le tribù sono società tendenzialmente chiuse, si muovono secondo la eco o il brusio degli umori prevalenti, scartano per via delle affinità e delle idiosincrasie ululanti, oggi sono correnti di Twitter e decidono per ordalia televisiva, con noti ondeggiamenti. Va bene, pazienza, è un dato di cui tenere conto. D’altra parte si tratta spesso di persone intelligenti. Purtroppo questo stato caratteriale ha segnato sempre di sé la storia politica della Repubblica, confermando il minoritarismo di idee e proposte che per altri versi hanno accompagnato e segnato la modernizzazione e il riformismo, rimasti saldamente nelle mani di democristiani, comunisti e socialisti, universi in qualche caso viziati da bacchettonismo, sentimentalismo o totalitarismo, ma non tribali. Le correnti o il centralismo democratico sono stati formule organizzative e politiche spesso patologiche ma compatibili con una certa coesione identitaria e popolare, almeno finché è durata la stagione dei partiti politici

Nota (3): che c’entrano i fornai con il nostro discorso? C’entrano i forni in realtà come spiega ancora la Treccani Enc.: Giulio Andreotti, quando si ritrovò a commentare, a distanza di anni, la fase storico-politica degli anni Sessanta, caratterizzata dalla centralità della Dc, scrisse che egli fu artefice dell’idea che in quel momento il suo partito, per acquistare il pane (cioè fare la politica più congeniale ai propri interessi alleandosi con altre forze), dovesse servirsi di uno dei due forni che aveva a disposizione, a seconda delle opportunità: il forno di sinistra (socialisti), il forno di destra (liberali, eventualmente anche i missini).