Rimpiangere?

La vita è qui da vivere e non da rimpiangere …

Rimpianto ha che fare con il ricordo. Infatti è il ricordo nostalgico e dolente di persone o cose perdute, o di occasioni mancate. Deriva dal verbo rimpiangere che significa rammentare una persona o una cosa con desiderio e nostalgia, ma insieme con la consapevolezza – spesso dolente – di non poterla avere più perché perduta o scomparsa, trascorsa o irrecuperabile. Fin qui le definizioni. Mi capita spesso di sentirne parlare dalle persone che incontro.

Ho però la sensazione che ci sia confusione tra rimpianti e rimorsi. Questi ultimi sono tutt’altro. I rimorsi sono i turbamenti che sgorgano da un errore compiuto nel passato recente o remoto, da qualcosa che si è fatto e che ha portato infelicità o dolore a noi o ad altri. Da qualcosa che si vorrebbe non aver mai fatto. Un’azione che, secondo l’etimologia, ci rimorde, che azzanna la nostra coscienza ogni volta che ci ripassa sopra, una consapevolezza tormentosa. Questo fa distinguere appunto i rimpianti che nascono da ciò che è andato perduto …

Sento anche dire: non voglio avere rimpianti! Desidero vivere senza rimpianti! Ecco, credo sia assai difficile che si realizzi una vita senza rimpianti, e lo stesso senza rimorsi. A chi non capita di perdere qualcuno e qualcosa a cui, tornando indietro, avrebbe voluto aver dedicato più tempo e più cura? E a chi non capita di aver sbagliato e, tornando indietro, non avrebbe averlo fatto? Ci sono domande che ci inseguono e talvolta ci mettono in crisi. Anche nel lungo termine. Credo che i veri rimpianti, quelli che contano veramente, possano presentarsi a noi nei momenti difficili o nei momenti più delicati nella nostra esistenza. Pensiamo a chi è in punto di morte ed è presente (cosciente) alla sua fase esistenziale. Bronnie Ware ne ha scritto in un noto libro in cui descrive i cinque rimpianti più grandi delle persone che stanno morendo. L’autrice ha lavorato come assistente ai malati terminali.

E prendiamo in visione questi “rimpianti”:

  • Vorrei essere stato coraggioso nell’esprimere i miei sentimenti;
  • Vorrei essere rimasto in contatto con gli amici;
  • Vorrei essere stato fedele ai miei principi e meno alle aspettative altrui;
  • Vorrei non essermi dedicato troppo al lavoro;
  • Vorrei essermi dato il permesso di essere felice.

C’é un verbo in comune in tutti i cinque rimpianti: “vorrei” … È un verbo condizionale. Significa che quello che volevo (o voglio) non si è potuto realizzare (non può realizzarsi) perché sono mancate (mancano) delle condizioni personali o contestuali. Ed è questo vorrei che da un lato pone un limite all’apparenza invalicabile, e dall’altro fa esplodere rimpianti, spesso a scoppio ritardato.

Come che sia, prendendo in carico a ritroso i rimpianti suddetti aggiungerò le riflessioni personali nei pezzi di questo blog che seguiranno.

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Citazione: da Frasi di Max Pezzali

Immagine: Train by Pixabay

Riassunto: by Carlo Emilio Gadda

Riferimenti nel testo: definizioni da Treccani.it – Fanpage.it – Meglio.it – Carmen Laval

Riferimenti libro: da Vorrei averlo fatto – I cinque rimpianti più grandi di chi sta per morire di Bronnie Ware – 2012 Ed. MyLife


… E l’indifferenza uccide!

Ricorda l’indifferenza uccide! Perciò avvicinati a chi è nel bisogno rialza chi è caduto e carezza il volto di chi piange cerca di essere voce per chi non ha voce allevia la sofferenza che incontri non partecipare all’omicidio consumato da quelli che sono gli indifferenti.

Un noto brano musicale ripeteva: “Nel 2000 io non so se vivrò ma il mondo cambierà il sole scenderà su di noi / Nel 2023, 23 Se il mio cuore batterà non lo so ma troverà qualcosa che lo farà batter più di te …

Di recente ha scritto al riguardo Fabiano Minacci:“Il testo era di Daniele Pace, accennando al misterioso futuro che incombeva, aggiungendo la frase “Nel 2023 l’uomo avrà smesso di lavorare” (ci andò vicino). Il brano era americano, cantato da Zager & Evans e in origine si chiamava “In The Year 2525”. Rick Evans la scrisse nel 1964, rimase chiusa in un cassetto fino al 1968. Il duo la incise all’inizio di giugno, entrò al n. 95 in America e il 12 luglio era al n. 1, grazie alle radio texane che la programmarono a rotta di collo, scalzando dal podio Elvis Presley, i Beatles e Stevie Wonder. Roba da non credere …”. In ogni caso il blogger afferma: “La canzone di Dalida Nel 2023 è una delle più catastrofiche di tutti i tempi”.

Anch’io come Minacci considero quel brano fra i più tendenzialmente catastrofici di sempre anche se in tal caso ci sono previsioni azzeccate e non. Del resto è sempre così, quando ci fanno previsioni generalizzate a lunga gittata, in parte, ci si azzecca sempre.

Come che sia, ci fu un tempo anche per me in cui pensavo al futuro come a qualcosa di migliorativo, di crescita per tutti, di evoluzione collettiva. Non soltanto di miglioramento personale, che, francamente, vedevo come cosa più complicata.

È stato così? Che c’entra la canzone richiamata?

È indubbio che il mondo, in questi circa 60 anni, sia migliorato sotto vari aspetti e abbia avuto varie fasi di progresso economico, culturale e sociale, e al contempo vari punti di crisi. Mi è difficile dare una misurazione di tali miglioramenti. Forse mi verrebbe più facile valutare le crisi, sempre più frequenti, spesso evidenziate da scosse di terremoto – anche violente – di tipo finanziario, politico, economico e sociale. Di recente anche di tipo sanitario (pandemia), non dimenticando i disastri ecologici puntualmente evocati, registrati, commentati e poi archiviati; e di tipo bellico (importante guerra in territorio europeo), non dimenticando l’intolleranza dialogica ormai persistente anche nelle sale politiche internazionali considerate democratiche.

Mi chiedo se a fronte di importanti avanzamenti (scambi multiculturali, discussione sui diritti umani, progresso tecnologico e sviluppo della ricerca, diffusione della conoscenza, opportunità della rete, per dirne solo alcuni) che sono sotto gli occhi di tutti non ci sia un imbarbarimento generalizzato che sta prendendo piede con forza. Sta dilagando.

Circa la pandemia: temo che stia diventando un brutto ricordo; parleremo di prevenzione e cautele non appena (speriamo di no) ne arriverà una di nuova. L’aviaria in essere non è una favola.

Circa la guerra: d’accordo ci sono decine di guerre nel mondo, da decenni e stanno aumentando; in Europa un conflitto così importante non era immaginato da nessuno; ci siamo abituati agli aggiornamenti sul conflitto, e anche alle statistiche sui morti e basta.

Circa gli immigrati: questa catastrofe è senza fine; l’indifferenza generale nasce da lontano, ma ultimamente è divenuta quasi un imperativo. Muoiono sotto gli occhi delle telecamere, quindi sotto i nostri occhi, “persone” che scappano da situazioni di profonda sofferenza e che se decidono di partire, pagando e rischiando, preferiscono questo ai soprusi in atto da parte dei loro conterranei. Quando poi sono bambini che vengono sacrificati rimanere indifferenti significa ancor di più complicità criminale.

Il fatto è che anziché unire le forze per trovare soluzioni adeguate, ci si dedica alla ricerca delle colpe e dei colpevoli dichiarando di avere la “coscienza a posto”. Questo atteggiamento sempre più praticato a tutti i livelli si basa su di una piattaforma che è alimentata dall’indifferenza: succedono certe cose ma non le voglio vedere, non mi riguardano oppure non mi conviene interessarmene, non è di mia competenza. Siamo passati dal lavarsi le mani (come Pilato – nda) di fronte ad un evento irrilevante all’arte di scaricare le responsabilità sugli altri di fronte ai peggiori crimini umani.

Tornando al brano musicale, che è uno spunto per uscire dalle usuali ovvietà, canzone proposta in Italia nel 1968/69, trovo che le cose non siano andate tutte male, anzi. Ci sono però anche segnali importanti di regresso. Che fanno pensare al peggio. Per esempio la vera catastrofe oggi, nel 2023, è evidente ed è quella dell’indifferenza diffusa. In tutti gli ambiti citati. Più che prevedere cosa accadrà occorre non essere indifferenti nelle situazioni in cui siamo immersi. Ed è vero: l’indifferenza uccide, come nella citazione.

Certo ci sono cose che possiamo fare ed altre che sono più difficili da realizzare.

Personalmente penso sia importante innanzitutto concentrarsi sulle prime.

Quali sono le cose che possiamo fare?

Anche su questo, sono convinto che possiamo ognuno di noi dare una risposta. Cominciando ad essere attenti. Poi impegnandosi ad essere consapevoli e a stare nel presente mettendo a disposizione le nostre capacità, senza esagerare, facendo la nostra parte.

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Citazione: L’indifferenza uccide! di Enzo Bianchi – Twitter

Immagine: Ragazzo del Togo in maglietta rossa – Giovanna Boteri su Facebook

Riferimenti nel testo: Nel 2023, brano proposto in Italia da Dalida e da Caterina Caselli – blog Biccy.it /F. Minacci


Abitando l’indifferenza

Indifferenza è bloccare l’emotività …

Le cause dell’indifferenza sono molto diverse e non è possibile arrivare ad una definizione uguale per tutti.

In realtà ogni atteggiamento indifferente degli umani può avere in comune l’inibizione delle emozioni.

Tali circostanze non adrebbero giudicate, ma ogni volta osservate, ascoltate, accolte.

Tra le più note ci sono, secondo approfonditi studi, la necessità di difendere se stessi verso un coinvolgimento emotivo eccessivo e magari difficile da accettare e sostenere, altre volte vi è un reale calo dell’attenzione verso l’altro, non espresso, che sfocia nella freddezza al fine di mostrare il distacco, o ancora può esserci una necessità di trovare un proprio spazio e creare una distanza dall’altro.

Ci sono poi tanti casi in cui vi è maggiore complessità derivante da un desiderio di arrecare danno all’altro e sofferenza. Per ritorsione …

In ogni caso scoprire la causa dell’indifferenza permette a chi ne è destinatario di comprendere meglio ciò che sta alla base e ridurre il senso di colpa e di disagio.

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Citazione e testo:spunti da Psicologia dell’indifferenza – Crescita personale

Immagine: Indifferenza by Pixabay


Nebbia

La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale …, ma … Respirano lievi gli altissimi abeti racchiusi …

Impressioni del mio Gennaio (II)

Cos’è la nebbia in fin dei conti?

Nebbia è una parola che usiamo spesso per dire che qualcosa non va per il verso giusto o desiderato.

Oh! Mio Dio! C’é nebbia, e adesso?, quale espressione di un senso di impotenza. Con questa nebbia meglio starsene in casa!, quale espressione di rassegnazione. Oppure nel nostro parlare: Siamo nella nebbia più assoluta, per dire che siamo nella confusione e non sappiamo da che parte andare; siamo annebbiati, ossia confusi, disorientati; ho nebbia davanti a me, per dire che sono nell’estrema incertezza, tale che non vedo nulla se non la nebbia.

Parola assai significativa, molto usata, di sicuro non è attraente o simpatica. Chi per lavoro attraversa zone tipicamente nebbiose la odia senza dubbio.

Ma la nebbia è un fenomeno naturale. Come si sa, si forma attraverso una concentrazione di infinite piccole gocce d’acqua, che si creano vicino al terreno, ma anche sopra il mare o gli specchi d’acqua e lungo i corsi provocando una graduale diminuzione della visibilità. E spesso incidenti.

Un ammasso informe di vapore che si muove lentamente oppure pare stabilirsi in un determinato luogo senza dare idea di volersene andare. Ci sentiamo avvolti fin dentro le ossa. Immersi in una gigantesca bolla che quasi ci toglie il respiro.

Ebbene, quasi sempre possiamo essere noi a muoverci e ad uscire da questo ammasso indistinto.

Quante volte ci perdiamo in esso e ci lamentiamo per la situazione che viviamo. E ci impegniamo molto a farlo. Quando in realtà basta poco per cambiare tutto.

Dico che è un po’ come andare in montagna.

Fintanto che rimango sulle mie, resto fermo nella mia area confortevole, vedo la nebbia che mi dà fastidio e mi disturba, ma non mi attivo per cambiare e trovare di meglio, continuerò a rosicare, a essere a disagio e aumenterò il senso di confusione e di incertezza … Non potrò stare meglio.

Se invece con coraggio mi attiverò avviandomi fuori dalle comodità superando ogni pigra giustificazione fatta di alibi e pretesti, spesso inventati, riuscirò a vedere con occhi nuovi e me ne rallegrerò.

Dopo una passeggiata nella nebbia, mettendoci impegno, forza di volontà, fatica, sacrificio, attenzione, si può salire in quota e superare quella che sembrava un cortina di grigiore impenetrabile. Soltanto allora si vedrà un cielo limpido, azzurro, con uno scenario illuminato da un sole che pareva non esserci più. La nebbia c’é ancora, ma è al di sotto, e sparisce ogni confusione ed ogni incertezza. Ci si accorge che bastava uno sforzo, quello di impegnarsi a cambiare punto di vista.

Si scopre così che è proprio vero: Ogni cosa, anche la più buia, può essere illuminata. Ogni cosa, ossia tutta la vita.

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Citazioni: miscela di versi da San Martino di Giosuè Carducci e da Gennaio di Rainer Maria Rilke

Citazione nel testo: da testi di Ludwig Monti

Immagine in evidenza: Panorama quasi nebbioso by GiFa2023

Immagine in chiusura: Nella nebbia passeggiando su M. Cimone by AnCa 2023


Neve

… Gennaio silenzioso e lieve, un fiume addormentato
fra le cui rive giace come neve  …

Impressioni del mio Gennaio (I)

Distesa all’apparenza incantata, subito sfregiata e poi a tratti ghiacciata.

Dura, quasi come cemento, macchiata, ancora dura e poi frantumata.

Spuntano piccoli filamenti ingialliti e antichi di tappeto erboso.

Poi copre tutto.

Salendo cresce lenta, fino al culmine.

Avanti si vede il mare, un mare bianco come neve versata, un mare di silenzio e di tranquillità.

Immobile ma anche schiumoso.

Ammasso di nubi alleate tra le quali un po’ alla volta escono le macchie scure che liberano altri mondi.

Nubi e onde. Non più neve.

Nubi come onde di mare agitato si attaccano agli scogli emergenti e si disperdono, si sciolgono come dominanti pensieri.

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Citazione: da La canzone dei 12 mesi di Francesco Guccini

Immagine in evidenza: Forest by Pixabay

Immagini in galleria: Panoramiche da Sentiero per M. Toraro by GiFa2023


2023 speranze

Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più

E’ il tempo che passa, vola, viaggia in avanti senza guardare in faccia a nessuno.

Questo è.

E come succede per altri vissuti non si spiega, semplicemente è, e basta.

Rimane il dispiacere di non aver trascorso meglio quel tempo, di non aver avuto più coraggio, di non aver saputo scegliere.

Spesso siamo presi dal grande rumore di sottofondo e non prestiamo attenzione alla chiamata che ci viene rivolta, che ci sta innanzi. Come un pugno diretto in viso. Lui arriva, lo prendiamo, fa male, ma non lo vogliamo vedere.

Rimane il sapore amaro di non essere stati all’altezza delle situazioni, di non aver risposto a certe richieste, di non aver capito i segnali.

Rimane, anche come lontano ricordo, il disagio di essere stati d’impiccio se non addirittura offensivi. Di aver ferito.

E questo richiederebbe comprensione e il cosiddetto perdono. Rimane allora la speranza di un perdono.

Proprio di recente J. mi ha passato un biglietto che ha trovato casualmente lungo una strada. Un biglietto che le ha aperto gli occhi del cuore proprio parlando di perdono (erano i giorni dell’Avvento). Lo scritto, rovinato dalla pioggia, era ben chiaro e ancora una volta si rifaceva a un detto ben noto:

Dove c’è amore non c’è bisogno del perdono, perché quando ami, ami e basta”.

Amore? Ma quale amore?

Rimanendo su quanto riportato non può che essere un sentire che va oltre l’umano. Un sentire disinteressato, che ponendosi come centro della morale e della volontà, non può che divenire fonte di bene.

Pare difficile, ma ce la possiamo fare.

Ecco che si compongono le speranze che ci possono accompagnare nel tempo futuro.

Questo è, e basta.

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Citazione e riferimenti nel testo: attribuzione a S. Agostino

Immagine: Hope by Pixabay


Buon Natale, davvero?

Non so voi, ma io, sinceramente, non me la sento di fare gli auguri di circostanza e di pensare a festeggiare, quando ciò che ci circonda ha sempre più spesso il sapore del dramma e della tragedia. Della manipolazione e dell’ingiustizia.

E non è solo questione di pandemia o di regole infrante …

Qualcuno mi ha detto che le tragedie ci sono sempre state, oggi c’é internet che ti racconta tutto e di più, quindi siamo costretti a sapere tutto di tutti. E’ meglio non pensarci per non farci il sangue cattivoMeglio pensare a distrarsi e a festeggiare

Io rigetto questa impostazione di vita.

Nel fare di tutto per pensare in positivo, desidero fare mie alcune parole sul Natale di una grande uomo e prete, don Tonino Bello:

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo.

Io,  invece, vi voglio infastidire.

Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario.

Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.

Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!”.

L’invito è di leggere l’intera lettera scritta oltre vent’anni fa in occasione del Santo Natale (riporto sotto il relativo link).

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Immagine: occhio d’anziano by Pixabay

Riferimento nel testo: da https://www.famigliacristiana.it/articolo/gli-auguri-scomodi-di-don-tonino-bello.aspx


Oggi ho trovato una perla

Mi capita spesso di recente ed è sempre una felice scoperta …

L’avevo già incontrata non ricordo dove, ma ricordo che mi aveva colpito. Ma non così tanto come oggi. Una perla poetica.

Non è chiara la paternità di questi versi, ma non importa li propongo per me e per chiunque li voglia far diventare personale aroma giornaliero.

Cosa perdo se non sorrido.
Cosa perdo se non ti do la mano per rialzarti.
Cosa perdo se non condivido.
Cosa perdo se non divido.
Perdo tempo.
Perdo quel tempo che Tu mi hai dato
per diventare migliore.


Immagine: Sorriso by Pixabay

Versi: Cosa perdo – non identificato – by web


Oggi ho incontrato …

Ognuno di noi ha in sé la luce del Sole. Senza il Sole gli esseri viventi non possono esistere. Per capirlo ci basta percepire il Sole dentro di noi …

Oggi (in realtà l’altro ieri) ho incontrato il mio jardinier.

Bassiano non era più mio, ma da oggi lo è ridiventato. Giardineggiare in novembre non è usuale, ma il mio jardinier mi ha incoraggiato. Tempo bello, quasi primaverile e luna in crescendo. E un Sole meraviglioso che è tutto da apprezzare.

E’ bravo il mio jardinier, esperto ed ispirato, pieno di Luce.

Sa uscire dai luoghi comuni (non ci sono le stagioni di una volta, ecc.) scegliendo di vedere la parte positiva (il momento favorevole è da cogliere).

Con questo tempo ci sono spazi inaspettati per nuovi interventi e per inventare produzioni innovative di colori e profumi anche invernali.

E’ gentile il mio jardinier, sa accogliere le semplici domande e orientarti, lasciandoti tutto il tempo e lo spazio per scegliere.

E’ grazie a questo stile che posso intravedere nuove possibilità nel mio “posto verde” che come me necessita di nuovi equilibri non scontati nè automatici.

In effetti c’é sempre qualche cosa da modificare, eliminare, gettare, diserbare …, come nella vita.

Bassiano consiglia di procedere con coraggio, ma con prudenza e rispetto.

La Natura, anche nel piccolo, va rispettata e trattata con gentilezza.

Cautela quindi nell’uso di agenti chimici, e coscienza di tutto quello che si fa. Basta cercare l’amonia e la diversità nel verde e nel naturale. Per il resto la Terra ci sosterrà nei nostri progetti di cambiamento.

Mi sono ricordato di un autore che sosteneva che la nostra Terra è simile a una cellula del corpo umano che è dotata di intelligenza e contiene varie forme di vita. E la Terra è pure un essere vivente: soffre, si rattrista, possiede saggezza e vanta talenti.

Ho trovato molta affinità tra quanto scrisse il noto biologo e quanto trasmessomi dal mio jardinier.

Infatti l’energia sacra della pace, della comprensione e dell’amore non è presente, talvolta quasi sopita, soltanto nell’essere umano, ma lo è anche in ogni specie esistente sulla Terra.

Grazie Bassiano, alla prossima.

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Citazione: da Lettera d’amore alla Madre Terra di Thich Nhat Hanh – Garzanti

Immagine: by GiFa 2019

Riferimenti nel testo: da Le vite di una cellula di Lewis Thomas – Sperling & Kupfer


Ieri ho incontrato …

Un mestiere dove l’utile non si distingue dal bello e dove è richiesta una lentezza, sovente raffinata, ha qualcosa in comune con l’arte.

Ieri (in verità diversi giorni fa) ho incontrato il mio gruista.

Era fiero, tranquillo, impavido, sicuro e perfino elegante.

Era tutto quello che non avrei mai pensato.

E non mi sarei mai aspettato un incontro come questo.

L’occasione ha avuto il sapore di una improvvisata, di una casualità.

Ci siamo visti, guardati e parlati. Capiti. Salutati.

Nell’antica Roma dicevano Per il savio basta una parola, divenuta proverbio, ripreso poi da Boccaccio nella sua opera massima, che è arrivato ai nostri giorni con A buon intenditor poche parole.

In questo caso i record sono stati ampiamente superati.

Sono sicuro che il mio gruista rappresenta un mondo del lavoro in cui vengono investite le migliori doti umane. Non solo di attenzione, precisione, prudenza, abnegazione, ma anche di passione, orgoglio, capacità di valutazione, di assunzione di rischi, gestione degli imprevisti, capacità direttive. E assunzione di responsabilità nell’essenzialità. Anche delle parole da usare.

Non conoscevo i compiti del gruista. Egli rappresenta un ruolo cardine nelle ditte edili e portuali. Dove sono in funzione le gru. Questa figura ha il compito di caricare, scaricare e trasportare materiali di diverse tonnellate e container per brevi tragitti, governando un braccio meccanico.

Ho visto all’opera il mio gruista e sono rimasto di stucco.

Purtroppo non è più mio, ora è di qualcun altro che abbisogna dei suoi servizi.

Altre persone a cui dedicare capacità, passioni e … poche parole ma chiare e perentorie. Financo gentili.

Da questo incontro sono tornato molto colpito, per tutto.

Spesso non sappiamo che cosa passa sopra le nostre teste. Se ci fermassimo a osservare potremmo anche spaventarci.

scarico materiali

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Citazione: da Frasi di Fabrizio Caramagna

Foto in evidenza e in chiusura del pezzo: By GiFa 2022