… E l’indifferenza uccide!

Ricorda l’indifferenza uccide! Perciò avvicinati a chi è nel bisogno rialza chi è caduto e carezza il volto di chi piange cerca di essere voce per chi non ha voce allevia la sofferenza che incontri non partecipare all’omicidio consumato da quelli che sono gli indifferenti.

Un noto brano musicale ripeteva: “Nel 2000 io non so se vivrò ma il mondo cambierà il sole scenderà su di noi / Nel 2023, 23 Se il mio cuore batterà non lo so ma troverà qualcosa che lo farà batter più di te …

Di recente ha scritto al riguardo Fabiano Minacci:“Il testo era di Daniele Pace, accennando al misterioso futuro che incombeva, aggiungendo la frase “Nel 2023 l’uomo avrà smesso di lavorare” (ci andò vicino). Il brano era americano, cantato da Zager & Evans e in origine si chiamava “In The Year 2525”. Rick Evans la scrisse nel 1964, rimase chiusa in un cassetto fino al 1968. Il duo la incise all’inizio di giugno, entrò al n. 95 in America e il 12 luglio era al n. 1, grazie alle radio texane che la programmarono a rotta di collo, scalzando dal podio Elvis Presley, i Beatles e Stevie Wonder. Roba da non credere …”. In ogni caso il blogger afferma: “La canzone di Dalida Nel 2023 è una delle più catastrofiche di tutti i tempi”.

Anch’io come Minacci considero quel brano fra i più tendenzialmente catastrofici di sempre anche se in tal caso ci sono previsioni azzeccate e non. Del resto è sempre così, quando ci fanno previsioni generalizzate a lunga gittata, in parte, ci si azzecca sempre.

Come che sia, ci fu un tempo anche per me in cui pensavo al futuro come a qualcosa di migliorativo, di crescita per tutti, di evoluzione collettiva. Non soltanto di miglioramento personale, che, francamente, vedevo come cosa più complicata.

È stato così? Che c’entra la canzone richiamata?

È indubbio che il mondo, in questi circa 60 anni, sia migliorato sotto vari aspetti e abbia avuto varie fasi di progresso economico, culturale e sociale, e al contempo vari punti di crisi. Mi è difficile dare una misurazione di tali miglioramenti. Forse mi verrebbe più facile valutare le crisi, sempre più frequenti, spesso evidenziate da scosse di terremoto – anche violente – di tipo finanziario, politico, economico e sociale. Di recente anche di tipo sanitario (pandemia), non dimenticando i disastri ecologici puntualmente evocati, registrati, commentati e poi archiviati; e di tipo bellico (importante guerra in territorio europeo), non dimenticando l’intolleranza dialogica ormai persistente anche nelle sale politiche internazionali considerate democratiche.

Mi chiedo se a fronte di importanti avanzamenti (scambi multiculturali, discussione sui diritti umani, progresso tecnologico e sviluppo della ricerca, diffusione della conoscenza, opportunità della rete, per dirne solo alcuni) che sono sotto gli occhi di tutti non ci sia un imbarbarimento generalizzato che sta prendendo piede con forza. Sta dilagando.

Circa la pandemia: temo che stia diventando un brutto ricordo; parleremo di prevenzione e cautele non appena (speriamo di no) ne arriverà una di nuova. L’aviaria in essere non è una favola.

Circa la guerra: d’accordo ci sono decine di guerre nel mondo, da decenni e stanno aumentando; in Europa un conflitto così importante non era immaginato da nessuno; ci siamo abituati agli aggiornamenti sul conflitto, e anche alle statistiche sui morti e basta.

Circa gli immigrati: questa catastrofe è senza fine; l’indifferenza generale nasce da lontano, ma ultimamente è divenuta quasi un imperativo. Muoiono sotto gli occhi delle telecamere, quindi sotto i nostri occhi, “persone” che scappano da situazioni di profonda sofferenza e che se decidono di partire, pagando e rischiando, preferiscono questo ai soprusi in atto da parte dei loro conterranei. Quando poi sono bambini che vengono sacrificati rimanere indifferenti significa ancor di più complicità criminale.

Il fatto è che anziché unire le forze per trovare soluzioni adeguate, ci si dedica alla ricerca delle colpe e dei colpevoli dichiarando di avere la “coscienza a posto”. Questo atteggiamento sempre più praticato a tutti i livelli si basa su di una piattaforma che è alimentata dall’indifferenza: succedono certe cose ma non le voglio vedere, non mi riguardano oppure non mi conviene interessarmene, non è di mia competenza. Siamo passati dal lavarsi le mani (come Pilato – nda) di fronte ad un evento irrilevante all’arte di scaricare le responsabilità sugli altri di fronte ai peggiori crimini umani.

Tornando al brano musicale, che è uno spunto per uscire dalle usuali ovvietà, canzone proposta in Italia nel 1968/69, trovo che le cose non siano andate tutte male, anzi. Ci sono però anche segnali importanti di regresso. Che fanno pensare al peggio. Per esempio la vera catastrofe oggi, nel 2023, è evidente ed è quella dell’indifferenza diffusa. In tutti gli ambiti citati. Più che prevedere cosa accadrà occorre non essere indifferenti nelle situazioni in cui siamo immersi. Ed è vero: l’indifferenza uccide, come nella citazione.

Certo ci sono cose che possiamo fare ed altre che sono più difficili da realizzare.

Personalmente penso sia importante innanzitutto concentrarsi sulle prime.

Quali sono le cose che possiamo fare?

Anche su questo, sono convinto che possiamo ognuno di noi dare una risposta. Cominciando ad essere attenti. Poi impegnandosi ad essere consapevoli e a stare nel presente mettendo a disposizione le nostre capacità, senza esagerare, facendo la nostra parte.

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Citazione: L’indifferenza uccide! di Enzo Bianchi – Twitter

Immagine: Ragazzo del Togo in maglietta rossa – Giovanna Boteri su Facebook

Riferimenti nel testo: Nel 2023, brano proposto in Italia da Dalida e da Caterina Caselli – blog Biccy.it /F. Minacci


Nebbia

La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale …, ma … Respirano lievi gli altissimi abeti racchiusi …

Impressioni del mio Gennaio (II)

Cos’è la nebbia in fin dei conti?

Nebbia è una parola che usiamo spesso per dire che qualcosa non va per il verso giusto o desiderato.

Oh! Mio Dio! C’é nebbia, e adesso?, quale espressione di un senso di impotenza. Con questa nebbia meglio starsene in casa!, quale espressione di rassegnazione. Oppure nel nostro parlare: Siamo nella nebbia più assoluta, per dire che siamo nella confusione e non sappiamo da che parte andare; siamo annebbiati, ossia confusi, disorientati; ho nebbia davanti a me, per dire che sono nell’estrema incertezza, tale che non vedo nulla se non la nebbia.

Parola assai significativa, molto usata, di sicuro non è attraente o simpatica. Chi per lavoro attraversa zone tipicamente nebbiose la odia senza dubbio.

Ma la nebbia è un fenomeno naturale. Come si sa, si forma attraverso una concentrazione di infinite piccole gocce d’acqua, che si creano vicino al terreno, ma anche sopra il mare o gli specchi d’acqua e lungo i corsi provocando una graduale diminuzione della visibilità. E spesso incidenti.

Un ammasso informe di vapore che si muove lentamente oppure pare stabilirsi in un determinato luogo senza dare idea di volersene andare. Ci sentiamo avvolti fin dentro le ossa. Immersi in una gigantesca bolla che quasi ci toglie il respiro.

Ebbene, quasi sempre possiamo essere noi a muoverci e ad uscire da questo ammasso indistinto.

Quante volte ci perdiamo in esso e ci lamentiamo per la situazione che viviamo. E ci impegniamo molto a farlo. Quando in realtà basta poco per cambiare tutto.

Dico che è un po’ come andare in montagna.

Fintanto che rimango sulle mie, resto fermo nella mia area confortevole, vedo la nebbia che mi dà fastidio e mi disturba, ma non mi attivo per cambiare e trovare di meglio, continuerò a rosicare, a essere a disagio e aumenterò il senso di confusione e di incertezza … Non potrò stare meglio.

Se invece con coraggio mi attiverò avviandomi fuori dalle comodità superando ogni pigra giustificazione fatta di alibi e pretesti, spesso inventati, riuscirò a vedere con occhi nuovi e me ne rallegrerò.

Dopo una passeggiata nella nebbia, mettendoci impegno, forza di volontà, fatica, sacrificio, attenzione, si può salire in quota e superare quella che sembrava un cortina di grigiore impenetrabile. Soltanto allora si vedrà un cielo limpido, azzurro, con uno scenario illuminato da un sole che pareva non esserci più. La nebbia c’é ancora, ma è al di sotto, e sparisce ogni confusione ed ogni incertezza. Ci si accorge che bastava uno sforzo, quello di impegnarsi a cambiare punto di vista.

Si scopre così che è proprio vero: Ogni cosa, anche la più buia, può essere illuminata. Ogni cosa, ossia tutta la vita.

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Citazioni: miscela di versi da San Martino di Giosuè Carducci e da Gennaio di Rainer Maria Rilke

Citazione nel testo: da testi di Ludwig Monti

Immagine in evidenza: Panorama quasi nebbioso by GiFa2023

Immagine in chiusura: Nella nebbia passeggiando su M. Cimone by AnCa 2023


Oggi ho trovato una perla

Mi capita spesso di recente ed è sempre una felice scoperta …

L’avevo già incontrata non ricordo dove, ma ricordo che mi aveva colpito. Ma non così tanto come oggi. Una perla poetica.

Non è chiara la paternità di questi versi, ma non importa li propongo per me e per chiunque li voglia far diventare personale aroma giornaliero.

Cosa perdo se non sorrido.
Cosa perdo se non ti do la mano per rialzarti.
Cosa perdo se non condivido.
Cosa perdo se non divido.
Perdo tempo.
Perdo quel tempo che Tu mi hai dato
per diventare migliore.


Immagine: Sorriso by Pixabay

Versi: Cosa perdo – non identificato – by web


Ritorno a casa?

… se Paradiso unisce l’intelligenza dell’uomo all’intelligenza della natura …

C’è una città che mi fa sentire a casa ogni volta che ci torno. Ci sono andato tante volte, ho perso il conto. Da solo, in coppia, in compagnia. Ogni volta andarci è come pensare ad un Paradiso. Ripartire dispiace ma non troppo perché senti che ci ritornerai presto.

Oggi il solo pensiero di Assisi mi fa sentire a casa. Nonostante la lontananza. I ricordi sono vividi. Ci sono stato come visitatore e turista, come fervente religioso, come fervente scettico, come dubbioso, come ricercatore di qualcosa di autentico e di superiore, come distratto camminatore, come ispirato meditatore.

Sto scrivendo queste cose e sento dentro di me non solo il desiderio di tornarci presto, ma anche la certezza che entro l’autunno ci tornerò.

Assisi: Francesco è sempre qui, diceva una nota giornalista di turismo. (1)

Eppure Assisi mantiene intatta la sua particolarità di piccola città mondiale della fede e dei valori universali. In effetti tutto in questa città di neanche 30.000 abitanti, il cui nome pare derivare dal nome del torrente che l’attraversa (2), è costruito e vive attorno a quanto ha lasciato il “poverello” ed è impossibile non restarne coinvolti, sia che si creda sia che non si creda. Direi anche sconvolti se ci si immedesima solo un po’ nelle sue tracce.

E’ anche straordinaria la fusione tra arte e religione, come anche tra natura e spirito: in tante chiese e in tanti eremi e conventi, nonché nel recente nuovo “Bosco di San Francesco”, vi si possono trovare moltissimi spunti di riflessione e meditazione.

E dopo il viaggio quello vero, quello dentro di me stesso, come sempre, corro al ristoro, come quello di chi torna a casa, e pensa alla strada che ha percorso e a quella, lunga e impegnativa, che deve ancora affrontare.

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Citazione:  da Cambiamento Sociale oggi, di Gianni Faccin – Note ispirate da Il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto ed. Marsilio

Immagini: Terzo Paradiso in Bosco di San Francesco Assisi – by GiFa 2018

Testo: da Ora ti ascolto … e poi? – di Gianni Faccin – Gedi 2022

Note: (1) Monica Guerrieri – TCI; (2) Wikipedia: La città umbra ebbe il nome di Asisium e fu monumentalizzata a partire dal II secolo a.C. Nell’89 a.C. divenne municipium e fu un importante centro economico e sociale dell’Impero romano. Il suo toponimo ha origini prelatine, e conservando un’incerta etimologia, viene interpretato in due differenti modi. Città del falco, o dell’astore oppure dalla base latina ossa ovvero torrente con ovvio riferimento al fiume Assino.


Anche le panche hanno un’anima

Torno a parlare di panche e panchine e con questo pezzo chiudo la serie …

Una mattina, al mio risveglio, mentre preparavo il caffè, notai come la vecchia panca ancora in buono stato, si fosse leggermente spostata dal suo posto abituale, vicino ad un albero amico, forse per prendere una pausa. Non mi sono preoccupato della cosa perché è capitato spesso che qualcuno la spostasse di qualche metro per trovare una migliore posizione panoramica. E’ divenuta una consuetudine che si ripete ormai da anni annorum.

Sta di fatto che da qualche tempo un tagliaboschi lavorava a ripulire lo spazio circostante e confinante con il sentiero che dà accesso al bosco ceduo di pini e abeti. Ogni giorno alla stessa ora, quando mi accingevo a preparare la moka per il caffè, iniziava il lungo e intermittente lamento della motosega, certamente un fastidio da vicino, ma una simpatica compagnia sonora da lontano che comunica che “c’è attività, ergo c’è vita”.

E’ bello osservare come quel sentiero, dapprima libero e distinguibile da lontano, si addentri dolcemente nel folto della boscaglia che gradatamente diventa come una grande parete rocciosa frastagliata e colorata di verde di svariate lucenti tonalità, man mano che si alza il sole.

Recentemente sono successe alcune cose che mi hanno confermato quanto già pensavo in passato: anche le panchine hanno un’anima.

Circa dieci giorni or sono il taglialegna agì con forza sull’albero amico. Ne fece legna da ardere. Quella pianta, forse malata, non c’è più. Rimangono i suoi pezzi diligentemente accatasti nelle vicinanze a fare legnaia. Non me ne accorsi subito ma a cose fatte.

Dispiace quando avvengono fatti così definitivi, ma è il senso del “ceduo”. E poi mi sono chiesto: e la panchina sua compagna di vita?

Infatti anche la panchina non era più nella zona usuale, si trovava più in alto lungo il sentiero quasi all’imbocco del bosco. Nell’immediato mi è parsa una fuga, ma non volevo drammatizzare.

Senza tirare conclusioni ho deciso così di controllare la nuova escalation giorno per giorno, anche perché il punto in questione, pur essendo lontano, si trova ben visibile esattamente di fronte al mio punto di osservazione.

E’ così che oggi, mentre scrivo, siamo agli inizi di settembre, ecco una nuova sorpresa: la panchina è sparita, se ne è andata, ha cambiato posizione perché probabilmente non ha accettato l’affronto fatto all’albero amico e secondariamente a essa stessa.

Ho chiesto in giro. Chi mi ha preso sul serio stando al gioco ha detto che forse si è stufata di essere usata, di essere spostata a seconda dei comodi altrui. Di essere allontanata dal suo habitat naturale, di non essere rispettata nei suoi spazi personali.

Non stento a credere a queste possibilità, ma mi sembra più credibile che la vecchia panchina abbia cambiato idea e si sia spostata in altra zona ove vi fosse più sintonia tra le componenti della natura.

Legno chiama legno?

Il problema è che ora ci sono sempre meno persone sulle panchine?

Troppi segreti da portare? Infatti si dice che i parchi siano pieni di segreti: sentono le confidenze che si fanno gli innamorati, gli amici e le persone che si incontrano sulle panchine.

Troppe incisioni da far male? O troppe stronzate condivise?

Sopra la panca la capra campa? Sotto la panca la capra crepa?

Difficile da dire.

Io non so cosa sia effettivamente successo, però ne possiamo derivare che anche le panche nel loro legno hanno un’anima.

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Citazione e immagina a cura di GiFa2022


Senza social

Le cose sono due: o sei social o non sei nessuno.

In questi giorni sto cercando di tenere a bada il grande fastidio che continua a crescere in me leggendo o ascoltando quanto sta avvenendo nel mondo virtuale. Lo tengo a bada perché lo sappiamo in tanti quale sarebbe la scelta più ovvia da fare il mese prossimo. Invece io ci tengo ad esercitare i miei diritti e quindi se voglio farlo è meglio che riesca a non farmi condizionare da questo immane senso di fastidio. Mi riferisco in particolare, in questo periodo, ai salotti tv e ai post sui social che dovrebbero essere educativi o almeno utili e costruttivi e non gare di mega-manipolazione, di insulto e di menzogna. Non ci sono soltanto i politici e politicanti, ma anche persone qualsiasi che di tutto parlano, spesso senza sapere di cosa stanno trattando. Sono gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, qui al maschile, ma vale anche al femminile. Cito parzialmente Leonardo Sciascia. Anzi il grande scrittore andava giù di brutto ben di più, ma questo è un altro discorso.

Nei miei piani c’era da tempo l’impegno di limitare il più possibile l’abbeverarmi al pozzo del mondo virtuale. Non ci sono ancora riuscito, ma ho deciso di dare un taglio netto e forte a questo bere. Una dieta ferrea quindi. Purtroppo mi è necessaria perché tocco costantemente con mano quanto sia distante la realtà odierna dall’approccio dei media citati. Spesso vale anche per i giornali che fanno da continua cassa di risonanza. Infatti, e non voglio generalizzare, accade giornalmente che testate storiche e consolidate riportino quanto viene scritto su Facebook, Twitter, ecc. e che spesso non me ne può fregare di meno oppure rischia di intrappolare l’attenzione su questioni di retro bottega.

Oggi il virtuale ci dice che ci sono varie cose da cambiare nel sistema e per questo occorre il nostro voto. In genere sono slogan, luoghi comuni e vere e proprie favole, che, tra l’altro, cambiano nel giro di poche ore. Forse questa frenetica corsa all’autodistruzione potrà divertire qualcuno, peccato però che al contempo ci sono milioni di poveri assoluti e che anche questo dato è in forte crescita, non cresce soltanto il prezzo del gas o l’inflazione. E si potrebbe dire ben di più.

Su questo esempio possiamo trarre la certezza che la realtà è una cosa (le bollette che stanno arrivando a tutti non sono bufale) e quanto tutti leggiamo o raccontiamo sui social è un’altra cosa che ci distrae e ci porta fuori partita.

E poi se non si scrive qualsiasi cosa sui social non ti senti parte della società. Non sei protagonista. In definitiva credo che ormai o possiedi un profilo social e non esisti. Riguarda chiunque, ad ogni età.

Penso che sia importante, non soltanto per me, non sprecare più di tanto energie e tempo per concimare il mondo social, riuscendo invece a ripristinare le vere app che contano e che, a mio parere, partono dai bisogni autentici di ognuno. Da dentro di noi.

Nel mio caso sento bisogno di prendere la distanza in modo deciso dal virtuale di massa e di dedicarmi a ciò che conta veramente e che può avvenire nell’incontro reale tra le persone. In quella che considero la connessione autentica, riuscire per esempio nella vita di tutti i giorni ad essere più assertivo ma anche più vitale e di stimolo con gli altri.

Dunque meno virtualità e più attenzione alle relazioni: cercare di sintonizzarmi con gli altri, ascoltando attivamente, rispettando i diritti di chi mi sta innanzi facilitando il reciproco arricchimento interiore; nello scrivere e nel parlare raccontando e raccontandomi in modo semplice e chiaro in ogni occasione con le parole ma anche con ogni altro mezzo disponibile; esprimermi al meglio, mostrando le parti di me, dichiarando i miei stati d’animo; instaurare relazioni soddisfacenti puntando alla condivisione di bisogni, valori e obiettivi.

Senza social si può vivere e vivere bene.

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Citazione: da codencode.it/essere-o-non-essere-social-siamo-liberi-di-scegliere/

Immagine: eyes by Pixabay

Riferimenti nel testo: Il giorno della civetta – Leonardo Sciascia – Gli Adelphi


Siamo fuori di testa ma diversi …

Ha vinto la politica-politicante e non è la prima volta. Possiamo fare sia l’ultima?

Torno ancora sul tema di questi giorni.

Tema che grazie ai siparietti stile “Muppet Show” (1) è subito stato posto in evidenza in ogni occasione, dalle tv alle testate giornalistiche, passando sopra alle emergenze, quelle vere che tocchiamo tutti con mano. (2)

Otto giorni fa scrissi in questa sede del forte pericolo di un autolesionismo italiano mirato. (3)
Purtroppo abbiamo constatato che si è realizzata la manovra di molti politicanti che secondo l’ordinamento vigente ci rappresentano al di là degli schieramenti di parte. A parte che in estrema sintesi li possiamo contare su di una sola mano. Ora è importante tener vivo il ricordo di quanto è successo. Io sento il bisogno di sollevare la questione almeno tra i miei lettori, pochi ma buoni. E per me stesso. 

Credo che il titolo (4), noto per altri motivi, possa rappresentare il mio sentire rispetto a questi politicanti: personaggi fuori di testa ma diversi sicuramente da quanto vorrebbe realmente la stragrande maggioranza degli italiani.

Innanzitutto una precisazione sul termine “politicante”. Dice la Treccani: Chi svolge attività politica con scarsa competenza, per lo più con mire ambiziose e per trarne vantaggi personali. I soliti p.; i pda piazzada caffèda strapazzo. Per estensione, persona faziosa e intrigante, dedita agli intrallazzi. Interessanti alcune definizioni celebri: i p., che hanno sempre in bocca le grandi e nobili parole e la solenne indignazione (B. Croce), gli arrivisti, i pdell’arte, gli ambiziosi di bassa specie (Cardarelli). Faccio notare come si intenda i politicanti e non i politici, su questo solitamente si generalizza un po’ tutti.

Considero attualissime queste note celebri, in fondo le storie si ripetono nel tempo. E appunto per questo sarei dell’idea di non sottovalutare l’attuale momento.

I cosiddetti calcoli da orticello personale hanno comunque prevalso e, senza voler distinguere tra buoni e cattivi, mi sento di sottolineare come avanzi sempre di più uno scenario comandato dalla pancia e dalle tattiche di alcuni personaggi con la consulenza di qualche genio nascosto. Non ci credo affatto alla circostanza che queste regressioni corrispondano al bene comune degli italiani. Sono giochini da bambini che si accordano per fare le scorribande. E’ qualcosa di estremamente facile da decifrare: l’appuntamento elettorale previsto per la primavera 2023
non si prevede così ghiotto come il momento attuale in cui i sondaggi paiono avvantaggiare qualcuno più di altri. Ecco che si inventa quanto avevo temuto: l’urgenza di chiedere il voto al popolo, che immediatamente si scopre sovrano, pur angariato da un elenco di questioni che i politicanti hanno finora finto di affrontare impedendo ad alcuni politici di procedere. Pare che la responsabilità, stando ai siparietti, sia di tutti e di nessuno (déjà-vu). Non riesco a trovare un senso alla malafede di costoro: hanno tolto l’ossigeno consapevolmente al capocordata vantandosi per la scelta; poi assegnano la responsabilità di questo a chi l’ossigeno ha continuato a fornirlo. Molti di noi corrono il rischio di crederci, se non fanno memoria breve di quanto accaduto. Non credo ci sia solo pancia. C’é molta razionalità legata ai cosiddetti “calcoli di convenienza”. Solo che in questa fase significa cinismo, ossia quell’atteggiamento di ostentata indifferenza e disprezzo nei confronti di valori morali e sociali. (5)

All’inizio ho scritto autolesionismo italiano mirato: già, si tratta di autolesionismo perché è chiaro che si dovrebbe remare tutti assieme, fare le riforme, ma è altrettanto chiaro che questa cosa non soddisfa più la fame di potere di alcuni. Temo che il risultato delle elezioni fissate inevitabilmente in piena estate tra 60 giorni comporterà ancora uno stallo tra forze di partito. Non c’era da anni una situazione che permettesse stabilità vera, altrimenti non sarebbe stato tirato per la giacca “Super Mario”. (6)
L’incapacità enorme delle parti politiche di essere autentici nostri rappresentanti permane. In questi 18 mesi c’è stato un tira e molla tra le parti e al loro interno. Nessuno, mi pare, ha approfittato per una nuova progettualità e nuovi punti di vista unificanti, come cercare realmente il contatto con la gente, con noi. Se non strumentalmente. Mi dispiace ma sarà ancora instabilità in autunno. E’ molto probabile ci troveremo a ricorrere ancora ad un “Super Mario” o come si chiamerà.

Per questo è assolutamente importante “occuparcene”. Al di là dei tanti siparietti che saremo costretti a vedere (Super Muppet, il grande manipolatore, ha già fatto il giorno dopo la crisi promesse ai pensionati di aumento delle rendite in modo da ammaliare non soltanto i pensionati, ma soprattutto la vasta platea di figli e parenti dei pensionati – attenzione sono decenni che vengono promesse le stesse cose), deve esserci chiaro che oggi i “Muppet” ci stanno manipolando e ci provano (Vice Super Muppet ha promesso la riforma costituzionale e un paese con democrazia non più parlamentare, ma non ha detto e non dirà che ci vuole il 67% del consenso per poter procedere alle riforme costituzionali … E in tal caso può contare al massimo, tutto da verificare, sul 25% in solitaria e sul 50% se in buona compagnia).

Dunque, che fare?

Oggi abbiamo in mano la possibilità di dire la nostra. Era ora? Francamente non so.

Resta il fatto che è nello scadenziario a breve.

E dire la nostra è assolutamente il caso. Scegliendo uno spettacolo stabile, i Muppet, oppure tentando un’alternativa che si presenti, speriamo, sui programmi e sui contenuti utili e realistici all’intero Paese. 

Non rassegniamoci. Occupiamocene. 

PS chiedo scusa ai veri Muppet …

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Citazione: by GiFa 2022

Immagini: Marionette 1) e 2) da Pixabay – Attenti a quei due e Puppet 3) da https://theplaylist.net/muppets-haunted-mansion-review-20211007/ – Puppet 4) in evidenza da https://www.theguardian.com/culture/2021/feb/22/the-muppet-show-episodes-given-a-content-warning-on-disney

Note nel testo:

(1) trasmissione televisiva ideata dallo statunitense Jim Henson, andata in onda tra il 1976 ne il 1981. I protagonisti sono dei curiosi pupazzi detti Muppet, dalla fusione tra le parole inglesi marionette (marionetta) e puppet (pupazzo). Jim Henson (animatore materiale anche di alcuni dei protagonisti), già presenza importante del programma Sesame Street (in Italia come “Sesamo apriti”), che ha in parte rivoluzionato il mondo della televisione per bambini, riuscì con questo programma a collocare i suoi pupazzi in una cornice rivolta ad un pubblico di adulti.

(2) ripresa della pandemia, l’aggravarsi della crisi economica, l’impressionante sviluppo della povertà assoluta e relativa che conterebbe 13 milioni di italiani, la crisi energetica, il peggioramento delle opportunità di lavoro e di prospettiva per il mondo giovanile (chi ha tra i 30 e i 40 anni), l’inflazione galoppante in seguito alla crisi energetica, la guerra in corso a 2 ore di volo da noi, la gestione del PNRR, la tutela dell’ambiente (vedi siccità) e molto altro ancora …

(3) autolesionismo italiano mirato: da pezzo in https://abitandoladistanza.com/2022/07/18/anche-le-formiche-nel-loro-piccolo-sincazzano/

(4) Titolo tratto da passo nella nota canzone Zitti e buoni del 2021 dei Maneskin

(5) Definizione di Cinismo da Wikipedia

(6) Super Mario: Mario, nota anche come Super Mario, è una serie di videogiochi prodotta da Nintendo, considerata una delle più popolari, durature e migliori serie videoludiche della storia. L’appellativo di Super Mario è stato dato a Mario Draghi in questa fase di difficoltà del nostro Stato. Prima di lui ci fu un altro Super Mario: Mario Monti che in una fase precedente ricoprì il ruolo di premier. Non si chiamavano Mario ma ricoprirono la stessa funzione Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini. Tutti tecnici proveniente dal mondo finanziario (Banca d’Italia, Commissione europea, BCE) e questo la dice lunga su come l’Italia sia già da anni instabile. I veri leader politici sono stati spesso i cosiddetti tecnici, a fronte delle incapacità dei nostri capi di partito.

Titolo: vedi nota (4)


 

Gianeti

Soprannome scherzoso spesso formato sulla deformazione del nome, talora attribuito in base alle caratteristiche fisiche o morali della persona …

Ho scritto questo pezzo qualche giorno fa in occasione del mio 65°.
Come sempre trovo occasione di fare memoria e vedo che ogni anno che passa mi propone nuovi punti di vista e nuove prospettive. A partire proprio dal mio invecchiare. Se da un lato comincio ad evitare certe sfide fisiche, dall’altro ne arrivano in continuazione altre di tipo spirituale ed intellettuale. E non solo. Anni fa non riuscivo ad organizzarmi adeguatamente per momenti personali di introspezione, riflessione e meditazione, lettura e studio, essendo preponderanti l’attività lavorativa e quella concreta di impegno sociale. Inoltre cercavo sempre di trovare un equilibrio con i rapporti familiari, spesso trascurati. Oggi un equilibrio penso di averlo trovato, anche se so che sarà instabile. In pratica è una ricerca continua, perché voglio stare bene io e far star bene chi mi è vicino. Mia madre, con i suoi 95, mi ascolta attentamente quando le racconto queste cose, si dice d’accordo con il suo linguaggio del corpo e mi fa capire a modo suo che “è l’età che avanza”.

Sarà così, ma più passa il tempo e più sento bisogno di Gianeti. Non credo c’entri l’età, penso dipenda dal bisogno personale, quello posto in alto nella piramide di Maslow. Gianeti lo intravedo spesso, più di un tempo, lo percepisco, lo sento … Negli ultimi anni mi accorgo di stare spesso a cercarlo.

A questo punto devo precisare. Gianeti è il diminutivo del mio nome. Fin da piccolo lo sentivo nominare in ambito familiare. Ma non tanto dai miei genitori, soprattutto da alcuni zii e cugini. Mi chiamavano e mi invitavano. Mi volevano “in mezzo” oppure erano incuriositi dai miei comportamenti non chiassosi. Ricordo che gli zii mi volevano vezzeggiare, i cugini mi volevano burlare.

Non mi piaceva questo diminutivo, in genere mi pareva che mi canzonassero. Non vedevo l’ora di crescere e di uscire anche da questi cliché. Anche i miei genitori non gradivano e spesso mia madre ricordava ai presenti che il mio nome era Gianni. Eh sì perché quando un giorno le chiesi le motivazioni che avevano portato alla scelta del mio nome, lei, dimostrando una potenza strategica non secondaria, mi confermò quello che avevo già immaginato: il nome è bello e corto, facile da pronunciare e significativo (deriva da Giovanni), ma è anche difficile che venga manipolato ovvero che qualcuno ci trovi un diminutivo o un soprannome. La storia ha dimostrato che non è così.

Sono passati tanti anni e di recente qualcuno interagisce con me ricorrendo a quel nomignolo. Nell’immediato, sono sincero, mi ha un po’ disturbato, ma poi me ne sono fatto una ragione perché proprio questa circostanza mi ha ricordato lui e quello che sentiva un tempo, molto lontano. Lontananza temporale ma vicinanza emotiva e spirituale.

Sì perché Gianeti non è soltanto un diminutivo, ma rappresenta per me quel bambino che ho sempre trascurato, che ho spesso voluto lasciare per diventare adulto, per diventare colto, per diventare bravo, per diventare migliore, per diventare …

Gianeti è finalmente dare spazio alla piena autenticità di me stesso, con coraggio ed entusiasmo. Il passo per la felicità è alla portata, come quando a 11 anni giocavo a calcio con i compagni di classe nei tornei interscuole che si facevano ogni anno presso l’Istituto Salesiano di Schio (Vi). Ho trovato una vecchia e cara foto che metto qui sotto e il sorriso di Gianeti lascia trasparire tutta la mia felicità.

Gianeti è qui, mi ha seguito finora, il riallineamento non è impossibile.

PS dell’immagine proposta mi hanno sempre colpito oltre al sorriso aperto, le maglie dei Salesiani tutte diverse per scuola e classe, indossate sopra le maglie personali, che venivano riutilizzate più volte anche in giorni diversi, con un lavaggio forse mensile, le maniche arrotolate perché lunghissime, i calzettoni abbassati diligentemente alla Mariolino Corso, i calzoncini bianchi (acquistati da mia madre) che erano strettissimi e le mie scarpette da calcio che come si può notare pur avendo fame (modo di dire dell’epoca per indicare che davanti erano aperte per troppo uso) rimanevano comunque in attività.

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Citazione: da E. Treccani

Foto: da archivio di famiglia – foto dell’Istituto Salesiano, Torneo S. Domenico Savio


Pranzo di Natale

“Stare insieme” è il regalo più bello.

Sì, dopo tanti Natali credo sia questo il regalo più bello. E siamo fortunati se oggi possiamo affermarlo. Il pensiero corre ancora e sempre a tutti coloro che non possono neanche immaginare di “stare assieme” a qualcuno. Per chi è fortunato, non si chiude qui. Occorre impegnarsi. Non è tutto scontato.

Penso al pranzo o alla cena di Natale, tante sono infatti le varianti, un po’ come nei virus.

Spesso avviene infatti che sia questa l’occasione unica dell’anno per un ritrovo di familiari, parenti e anche accompagnatori occasionali (il moroso o la morosa, nel senso di fidanzati).

Il rischio sempre più grande, proprio come raccontato in alcuni film anche recenti, tipicamente francesi, è che l’unica occasione di ritrovo dell’anno corrente si trasformi in una resa dei conti. Questo perché ogni partecipante alla festa ha la sua versione da far vedere e da far prevalere.

Un noto pedagogista (*) si chiede: … Possibile che proprio durante il pranzo di Natale ci siano i soliti litigi per motivi futili e banali? Perché proprio a Natale si scatenano le peggiori bagarre in famiglia? Forse apparirà una cosa strana e paradossale, ma invece sarebbe presente nel menù di molte famiglie in queste occasioni di festa e ritrovo sotto l’egida del Santo Natale. L’autore citato prosegue: … è proprio nei momenti in cui le aspettative sono più alte che si nascondono le peggiori insidie. A Natale la tradizione vuole che tutti i figli stiano vicini ai vecchi genitori, ma non sempre questo desiderio è condiviso dai figli stessi. E spesso in molti vivono il Natale come un obbligo e non come una libera scelta. Sono due i motivi che rendono il pranzo di Natale un momento delicato e difficile per le relazioni familiari. Il primo è legato al fatto che il livello di intimità è molto alto perché il Natale viene condiviso con le persone a cui siamo più legate. E sappiamo che l’intimità spesso apre le porte a possibili conflitti basati sull’eccesso di conoscenza dei reciproci difetti. Il secondo è che il Natale è uno degli obblighi più inderogabili della nostra cultura, soprattutto quella italiana, che è particolarmente legata ai legami di appartenenza familiare. Infatti c’è la sorella che nella vita non ha avuto la stessa fortuna degli altri fratelli, che magari non ha avuto figli, mentre gli altri ne hanno avuti tanti. Oppure il fratello che da sempre si sente poco considerato dai genitori. La nipotina adolescente che proprio nel giorno di Natale vuole riscattarsi davanti agli occhi degli altri componenti familiari. E via così in un susseguirsi di incontri e scontri, un rituale di comunione che spesso rischia di diventare un percorso impervio e difficilissimo. Inevitabilmente il pranzo di Natale risveglia i tasti dolenti dell’infanzia e le ferite più antiche che caratterizzano tutte le relazioni familiari. 

Che fare, dunque?

Beh, credo che sia interessante non lasciare tutto all’improvvisazione, anzi è meglio decidere responsabilmente di impegnarsi su questa cosa che, a mio parere, va posta al centro delle festività e, comunque, in ogni incontro umano.

L’approccio potrebbe essere di rallentamento e di iniziativa, che possono benissimo andare a braccetto.

Rallentamento prevede il tenere una “distanza” dagli eventi e dalle parole. Per esempio essere attenti ai commenti e alle battute, non esagerare, tralasciare i giudizi che sgorgano facilmente per la grande confidenza che può intrappolare facilmente. Invece l’occasione, che è anche rara, può servire per conoscere meglio i cambiamenti nelle altre persone. Rallentamento anche nella tipica situazione che ci vede mettere sempre al centro dell’attenzione con atteggiamenti provocatori o di puro ed inutile esibizionismo. Di sicuro possono divertire, ma altrettanto possono essere sgraditi a più di qualcuno.

Iniziativa significa essere autentici e semplici, ma non sprovveduti. Un ruolo importante hanno gli organizzatori del pranzo o della cena. Infatti è fondamentale che tutti si sentano accolti e importanti in modo che siano a proprio agio, anche quelli più riservati. Altro aspetto fondamentale è di dare l’esempio nell’ascoltare i discorsi di tutti i partecipanti. Impegnarsi ad essere curiosi uno dell’altro, facendo domande e ascoltando con il cuore.

Insomma che senso ha ritrovarsi insieme a Natale (ma non solo a Natale, aggiungo), se non ci si impegna nell’attenzione reciproca. Il pedagogista sopraccitato dice che: Anche il pranzo di Natale, dunque, può essere un’ottima occasione per imparare ad affrontare le contrarietà relazionali, un obiettivo importante per tutti noi, che viviamo in una società sempre più complessa e narcisistica, in cui le persone hanno sempre maggiori aspettative verso se stesse e verso gli altri.

Allora sì che ha senso festeggiare e scambiarsi gli auguri.

Oggi, 25 dicembre 2021: Buon Natale e buone relazioni!

Pranzo di Natale
Niente da dirsi?

Citazione: da https://www.donne.it/natale-famiglia-tradizione-intramontabile/#gref

Immagine di chiusura: foto da La buche, film sul Natale del 1999 di D. Thompson by La Première Fr.

Immagine in evidenza: Pranzo di Natale da https://www.donne.it/natale-famiglia-tradizione-intramontabile/#gref

Riferimenti: (*) da Come gestire i litigi del pranzo di Natale di Daniele Novara, scrittore e pedagogista – fondatore e direttore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza


Presenza oggi

Volere o no, siamo tutti, quanti siamo uomini sulla terra, inquieti appassionati e non mai sazi cercatori 

Non assenza.

Tanto tempo ed energie ho dedicato e dedico a me stesso. E agli altri.

Ne avevo e ne ho bisogno. Credo sia più che giusto, e molta strada ho ancora da fare.

Ma oggi ho ben chiaro di quanto sia importante e meraviglioso ch’io sia pienamente presente.

Presente per te, con te, ora e qui.

Non presenza ingombrante, arrogante, imbarazzante, invadente, dominante, indisponente.

Sì presenza alla pari, paziente, disponibile, attenta, accogliente, rispettosa.

Costruttiva e nutriente, per entrambi.

Come ho sempre – non sempre – coscientemente sperato fosse.

Che poi diventa ricchezza reciproca. La vera ricchezza.

Continuerò a lavorare su di me e in favore degli altri, com’è nella mia indole, ma rinnoverò da subito il mio essere con te.

Non assenza. Presenza autentica.

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Citazione: tratta da Cristo con gli alpini di don Carlo Gnocchi – Ed Bur (Rizzoli)

Immagine: foto by AnCa – Movimenti nel sole – Grado settembre 2020

Testo: da Diario 2021 di Gianni Faccin Ed. Gedi