Anche le panche hanno un’anima

Torno a parlare di panche e panchine e con questo pezzo chiudo la serie …

Una mattina, al mio risveglio, mentre preparavo il caffè, notai come la vecchia panca ancora in buono stato, si fosse leggermente spostata dal suo posto abituale, vicino ad un albero amico, forse per prendere una pausa. Non mi sono preoccupato della cosa perché è capitato spesso che qualcuno la spostasse di qualche metro per trovare una migliore posizione panoramica. E’ divenuta una consuetudine che si ripete ormai da anni annorum.

Sta di fatto che da qualche tempo un tagliaboschi lavorava a ripulire lo spazio circostante e confinante con il sentiero che dà accesso al bosco ceduo di pini e abeti. Ogni giorno alla stessa ora, quando mi accingevo a preparare la moka per il caffè, iniziava il lungo e intermittente lamento della motosega, certamente un fastidio da vicino, ma una simpatica compagnia sonora da lontano che comunica che “c’è attività, ergo c’è vita”.

E’ bello osservare come quel sentiero, dapprima libero e distinguibile da lontano, si addentri dolcemente nel folto della boscaglia che gradatamente diventa come una grande parete rocciosa frastagliata e colorata di verde di svariate lucenti tonalità, man mano che si alza il sole.

Recentemente sono successe alcune cose che mi hanno confermato quanto già pensavo in passato: anche le panchine hanno un’anima.

Circa dieci giorni or sono il taglialegna agì con forza sull’albero amico. Ne fece legna da ardere. Quella pianta, forse malata, non c’è più. Rimangono i suoi pezzi diligentemente accatasti nelle vicinanze a fare legnaia. Non me ne accorsi subito ma a cose fatte.

Dispiace quando avvengono fatti così definitivi, ma è il senso del “ceduo”. E poi mi sono chiesto: e la panchina sua compagna di vita?

Infatti anche la panchina non era più nella zona usuale, si trovava più in alto lungo il sentiero quasi all’imbocco del bosco. Nell’immediato mi è parsa una fuga, ma non volevo drammatizzare.

Senza tirare conclusioni ho deciso così di controllare la nuova escalation giorno per giorno, anche perché il punto in questione, pur essendo lontano, si trova ben visibile esattamente di fronte al mio punto di osservazione.

E’ così che oggi, mentre scrivo, siamo agli inizi di settembre, ecco una nuova sorpresa: la panchina è sparita, se ne è andata, ha cambiato posizione perché probabilmente non ha accettato l’affronto fatto all’albero amico e secondariamente a essa stessa.

Ho chiesto in giro. Chi mi ha preso sul serio stando al gioco ha detto che forse si è stufata di essere usata, di essere spostata a seconda dei comodi altrui. Di essere allontanata dal suo habitat naturale, di non essere rispettata nei suoi spazi personali.

Non stento a credere a queste possibilità, ma mi sembra più credibile che la vecchia panchina abbia cambiato idea e si sia spostata in altra zona ove vi fosse più sintonia tra le componenti della natura.

Legno chiama legno?

Il problema è che ora ci sono sempre meno persone sulle panchine?

Troppi segreti da portare? Infatti si dice che i parchi siano pieni di segreti: sentono le confidenze che si fanno gli innamorati, gli amici e le persone che si incontrano sulle panchine.

Troppe incisioni da far male? O troppe stronzate condivise?

Sopra la panca la capra campa? Sotto la panca la capra crepa?

Difficile da dire.

Io non so cosa sia effettivamente successo, però ne possiamo derivare che anche le panche nel loro legno hanno un’anima.

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Citazione e immagina a cura di GiFa2022


Il dono del lampone

Chi cerca trova, ma per trovare veramente occorre cambiare modalità di ricerca

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Inizialmente avevo pensato ad un titolo diverso: la regola del lampone oppure la legge del lampone. Alla fine ho scelto il titolo esposto perché ho sentito questa cosa più come un dono, disinteressato da parte della Terra madre, solo successivamente come un insegnamento.

Da qualche tempo in un piccolo orto coltivo i lamponi, le cui radici mi sono state donate molti anni fa da un caro parente, amante della natura. Avrei tanto preferito altri frutti di bosco, per esempio le more. Poi sono arrivati i lamponi e questi si sono ambientati nella dimora di famiglia, in montagna, e hanno lentamente fruttificato, di anno in anno sempre di più. Anche io mi sono adattato: preferirei le more perché hanno un sapore acidulo e poi sono ricche di vitamine e molto altro. I lamponi invece, pur sostanziosi come vitamine, sono molto più dolci, morbidi e delicati. E’ proprio per questo che non li preferirei alle more di rovo, che assaporo molto di più.

In ogni caso si tratta di piante che non tutti apprezzano per la loro capacità di essere fastidiose. Infatti tendono a moltiplicarsi a tal punto da essere bollate come infestanti. Io, però, tra more e lamponi ho trovato una sostanziale differenza. Mentre le more sono prevalentemente bene in vista e si possono cogliere a colpo sicuro evitando le spine ben distribuite sui gambi della pianta, i lamponi sono prevalentemente nascosti. Infatti le piante singole non mettono bene in evidenza i frutti che devono essere cercati sotto le foglie e al raccoglitore capita facilmente di sentirsi pungere dai gambi distribuiti sul terreno in modo disordinato.

C’è una cosa particolare che mi colpisce dei lamponi.

Quando credi sia finita la raccolta, eccone spuntare di nuovi. E ancora, quando credi siano esauriti, giorno per giorno, ne vedi di nuovi e se guardi bene, sotto tra le foglie, ne scopri altri che se ne stavano in attesa, ma ben coperti, quasi giocassero a nascondino.

Per andare bene ho scoperto una regola di comportamento: non mi fermo soltanto ad alcuni punti di osservazione, ma ne pratico di nuovi e di diversi in modo che l’individuazione dei lamponi maturi possa avvenire completamente. Solo e soltanto in questo modo si possono godere tutti i frutti offerti dalle piante. Mi colpisce proprio questa circostanza: non puoi dare per scontato di averli scovati tutti, ce n’è sempre qualcun altro ben nascosto. Talvolta non è sufficiente alzare le foglie o abbassare i gambi spinosi, serve proprio un punto di osservazione altro, diverso. Certi miei movimenti di ricerca dei frutti mi colgono di sorpresa e mi rido addosso in solitudine, essendo decisamente comico, ma sono posizionamenti utili a vedere i lamponi che non si vedono negli appostamenti usuali.

Un po’ come nella vita: è sempre utile assumere punti di vista diversi per vedere le cose in maniera diversa, senza fermarsi alle prime impressioni. Fa bene innanzitutto a noi che lo facciamo, un po’ come le vitamine dei lamponi.

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Citazione: by GiFa 2022

Immagine: Raspberries by Pixabay


Io e Sars-Cov-2

Eccomi, anch’io ci sono passato …breve storia semiseria

In realtà ci sono ancora dentro mentre sto scrivendo. Voglio rimanere positivo, ma ovviamente non per il virus.

Ci sono voluti due anni e tre mesi, nonché diverse varianti virali e sottovirali, ma alla fine anche io ci sono caduto dentro. E’ stato fatale allentare le misure di sicurezza, ricercare gli spazi perduti e, gli indizi precisi li ho tutti, non rispettare alcuni canoni di distanziamento tra le persone. E’ fondamentale festeggiare e vivere, ma le cautele sono e, forse saranno sempre, necessarie. Oggi siamo in un mondo strano, in cui anziché cercare di capire come tutelarsi e farlo si preferisce rischiare e dedicarsi ad attaccare i medici definendo farsesca la gestione della pandemia, quando in realtà siamo in tantissimi che parliamo senza sapere spesso di cosa si tratta. Parliamo, parliamo e parliamo, contagiandoci mentalmente oltreché fisicamente. E poi ci lamentiamo e colpevolizziamo … Questo è.

A questo punto voglio precisare, venendo al semiserio, che in questo mondo strano può succedere anche qualcosa di interessante, quando la malattia non vada oltre certi limiti sostenibili, e lo dico perché dobbiamo sempre ricordarci di quante persone – compresi i medici – non ci sono più oppure sono ancora in sofferenza a causa di questa influenza. Precisato questo, sento di narrare con ironia le cose che più mi hanno colpito di questa vicenda divenuta personale.

In effetti non avendola mai sperimentata ho vissuto in prima persona le conseguenze gestibili ma pesanti della malattia che corrispondono a quanto viene raccontato dai media, visto che ormai sono loro le fonti di verità: trattandosi di variante Omicron, che è finora la versione mutata del virus che ha generato più casi a livello globale a causa delle sue sottovarianti, come la più recente Omicron 5 (BA.5), in genere, l’infezione si presenta con naso chiuso e che cola, affaticamento, stanchezza e malessere diffuso, mal di gola, tosse e mal di testa e febbre. Azzeccate quasi tutte a parte il mal di gola e il mal di testa. Questa circostanza non mi dispiace, ma devo aggiungere per completezza che c’é un generale stato di rincoglionimento, uno stato di indolenza generale, in contrasto con un aumento dell’appetito e di una particolare voglia di parlare. Passata la febbre (tre giorni oltre 38 gradi), ho sentito stimoli verso un inedito desiderio di rinnovamento personale. Questa cosa sarà tutta da scoprire e ci lavorerò.

E tornando a bomba, come si dice, visto il malessere ho scritto al mio medico il quale mi ha risposto immediatamente stupendomi perché era un giorno festivo. Ho fatto presente i sintomi e di aver eseguito un tampone fai da te con esito positivo. Il medico mi ha consigliato di rifarlo in farmacia per riceverne conferma ufficiale e di prendere alcuni medicinali. Mi ha detto di ricontattarlo per aggiornarlo, tanto anche lui era in casa in quanto contagiato dal virus. Così ho fatto. Gli ho riscritto spiegandogli tutto. Mi ha risposto: continui la terapia, ma si avvisano gli utenti che per urgenze è meglio contattare il call center. Poverino, lo capisco, è positivo …

In questi giorni ho avuto molti contatti che ho apprezzato: se devo rilevare delle particolarità, cosa che amo fare, c’é di tutto nell’enorme affetto che mi è stato rivolto. Per esempio delle vere e proprie ricette mediche: prendi la tachipirina 1000, prendi tante vitamine di questo tipo, oppure prendi il moment oppure l’aspirina, qualcuno mi ha consigliato zenzero naturale a nastro, qualcuno di bere molta acqua, altri di mangiare molta verdura cotta, c’é chi mi ha vietato di uscire e prendere aria oppure di bere alcolici; e domande a cui non sapevo rispondere con esattezza. Alcuni esempi: “Quanti giorni dopo il contagio hai fatto il tampone?”, “Con che sintomo è partita la malattia?”, “Come fai con la tosse?”, “Quando pensi di fare il tampone di guarigione?”, “Tua moglie è positiva?”, “Riesci comunque a parlare nonostante la tanta tosse?”, Quando torni redivivo?” …

Mi ha colpito molto l’intervista dell’Aulss, da cui “dipendo”, telefonata dolce al femminile e tempestiva il giorno dopo il tampone: “Buongiorno signor Gianni, sono … dell’Aulss 7 …, ieri ha fatto il tampone, oggi come si sente?” … Mi ha fatto piacere, non mi era mai capitato una telefonata sanitaria così semplice ed efficace in decenni neanche dal dottore di famiglia. Che sia merito anche questo del Covid-19? O di Zaia? Credo sia merito del tampone ufficiale …

Alcune persone care mi hanno fatto sentire bene avendo continuato a chattarmi per sapere l’andamento tenuto conto che avevo tosse e avrei fatto fatica a parlare: “Se hai possibilità di parlare, chiamami, io ci sono” – “Se non hai voglia di fare niente coltiva questi spazi di svogliatezza e trova il gusto del non far niente, approfittane …”, “Sei isolato, pensa … nessuno che ti possa disturbare …”, “Voglio solo sapere come stai e non disturbarti oltre …”, “Ciao, come va oggi, va meglio?”, “Pensa solo a riposarti, approfittane”.

Si tratta di “ricette d’amore” che fanno meglio delle medicine. Invece questa cosa che essendo isolato non sarò disturbato mi attira, ma al contempo mi ricorda chi vive male l’esperienza della solitudine e dell’isolamento, come sta succedendo in qualche struttura pubblica per anziani, qui nella mia città in questi giorni. Dunque non posso dire di accettarlo.

L’esperienza centrale è quella che mi sta fecendo riscoprire il valore della “distanza”: esserci nel rispetto dei tempi/spazi miei e altrui. Valore che si può collegare alle necessità di distanziamento fisico.

In effetti il distanziamento fisico in casa è un’altra partita, che avrebbe senso se anticipata rispetto ai sintomi. In pratica abbiamo chiuso la stalla a buoi scappati. Io positivo e Angela negativa, per ora. Dunque lei va tutelata per quanto possibile. Camere separate quindi, dopo decenni di “condivisione”.

Nel 2020 in queste circostanze istruivano: I membri della famiglia devono soggiornare in altre stanze o, se non è possibile, mantenere una distanza di almeno 1 metro dalla persona malata e dormire in un letto diverso. Chi assiste il malato deve indossare una mascherina chirurgica accuratamente posizionata sul viso quando si trova nella stessa stanza.

Appena sospettato si trattasse del virus più citato al mondo, mia moglie ha deciso: teniamo una distanza fisica adeguata ed evitiamo avvicinamenti, inoltre abbiamo questa possibilità, dormiamo in camere separate. Necessario, doveroso, opportuno. Ma ho bisogno di dirlo, la cosa non mi piace.

E’ anche vero che dopo tanti anni forse è giusto dire che me lo potevo aspettare … Ma è soltanto una battuta!

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Immagine: emoticon con mascherina by web

Riferimento medico: da normativa comportamentale per la lotta contro il Covid-19


Sogno di sognare

Il modo migliore per realizzare un sogno è quello di svegliarsi 

E’ sempre stato un desiderio. Sogno di sognare è anche un’esperienza e riconosco che la vivo più di frequente da qualche anno.

Come qualche giorno fa, solitamente me ne rendo conto di primo mattino, essendo il vissuto ancora caldo. Ed è autentica serenità …

Eravamo noi in un tempo senza tempo. I nostri sguardi si incontravano di continuo, pur in mezzo a tante persone, in genere indistinte. Tu in dolce attesa anche senza evidenti prove, anzi non si sarebbe detto. Ed eri presa dai sentimenti contrastanti di fastidio e di felicità, perché era una fase impegnativa ma ci tenevi ad essere due in uno.

Io ti guardavo e mi pareva di essere inesistente. Ma ti guardavo e guardavo, senza stancarmi, le tue mosse e i tuoi riguardi. Eri allegra, vivace e responsabile. Ti muovevi con grande leggerezza.

Eri tutta proiettata sul futuro, sul nostro futuro e in particolare su di lui che stava, lentamente, arrivando.

C’è stato un seguito, ma, come spesso accade, non resta ben presente oppure viene interrotto dal risveglio.

E’ rimasta una bellissima sensazione di serenità intesa come tranquillità dell’animo. Sensazione rafforzata poi dalla riscoperta – ennesima – del seguito che corrisponde ad eventi veri, concreti, noti.

Ed è qui che la sensazione si è tramutata in gioia profonda.

Il sogno in realtà.

Dolce attesa – Pixabay

Citazione: by Paul Valéry

Immagine in evidenza: Sogni by Pixabay


Wuhan

I gatti sono individui unici, con idee proprie su ogni cosa, comprese le persone che appartengono loro.

Gli hanno dato il nome di una città, divenuta nota non per le sue qualità ma per essere stata, così raccontano le cronache, l’origine dell’attuale pandemia. Wuhan, l’esteso capoluogo della provincia di Hubei, nella Cina Centrale, è un polo commerciale attraversato dal Fiume Azzurro e dal Fiume Han. Noi, qui, probabilmente non ne avremmo mai sentito parlare se non fosse stato per quello che stiamo vivendo e respirando ormai da due anni.

Quelli che “sembrano” essere i proprietari di Wuhan, si può mai essere proprietari di un animale tipicamente libero (!), hanno detto che quello è il suo nome, perché si è insediato da loro (?) all’inizio del contagio, quando pandemia non era ancora.

E anche lui non è ben chiaro da dove arrivi.

Sto parlando dell’ormai “gattone” che sembra essere di proprietà di qualcuno, ma che in realtà appartiene a tutti o a nessuno, anzi soltanto a se stesso.

Di chi sia o a chi appartenga, poco importa. L’impressione è che siamo noi ad appartenergli. Infatti per noi oltre ad una presenza costante è diventato un amico. Il nostro amico Wuhan.

Normalmente passa, osserva, cerca, rallenta e riparte, scatta poi si ferma e si accuccia lì dove si trova.

Sempre più spesso ci attende all’arrivo di un viaggio, oppure all’apertura di finestre e porte. Arriva improvvisamente e ci avvicina tentando di entrare in casa. Qualche volta ci riesce, entra da una parte e lentamente esce dalla parte opposta, se trova aperto. Prima però si liscia addosso a qualsiasi oggetto che incrocia. E prima di entrare con passo deciso chiede permesso, se ho interpretato bene quel suo tenero miao!

E qualcuno del posto ha detto che non è avvicinabile, pare sia aggressivo.

La cosa più bella che accadde ultimamente è trovarlo il mattino che sta ancora dormendo sul nostro tavolo in giardino. Ci avviciniamo, ma Wuhan non si scompone, alza il muso e ci guarda, poi si riaccuccia. Stamattina si è girato e rigirato cercando la posizione. Si è allungato sul tavolo vicino ad un vaso con delle mosse decisamente umane. Anche io faccio questi movimenti. Alla fine mettendo le zampe robuste, flessibili e morbide a mo’ di cuscino – trovando la “meglio posizione” – si è rannicchiato e ha ripreso il placido sonno, senza tanti problemi.

Gattone mio, sei proprio un bell’esempio. Relax in piena libertà. Ed è vero come disse qualcuno (1): i gatti occupano gli angoli vuoti del mondo. Quelli comodi. Impossibile guardare un gatto che dorme e sentirsi nervosi.

A domani Wuhan … Miao!

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Citazione by John Dingman

Fonti: citazioni varie in https://librieparole.it/

Foto by GiFa 2021 (ottobre): Wuhan in varie posizioni

Note: (1) detti di Marion Garretty e Jane Pauley

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agauos

Metti cinghie di cenere al ventre dei monti
e denti formidabili alle gole dei monti.
Polipo pietrificato.

Quando passammo le ferie presso l’Isola d’Elba, molti anni addietro, al ritorno portammo con noi alcuni germogli di agave, pensando di non fare una cosa brutta e di coltivarli da noi, in Veneto. Pensavamo che non saremmo tornati sull’isola di lì a poco. Invece poi tornammo ancora, non si poteva non farlo. La piccola isola, vicina alla terraferma toscana è ancor oggi un piccolo gioiello naturale di storia e bellezze naturali.

Noi avevamo base a Capoliveri, in un’area attrezzata ampia, ordinata, tranquilla, immersa nella natura selvaggia vicino a due spiagge altrettanto selvagge e uniche per bellezza delle acque e dell’immediato entroterra che appariva poco stabile e tenuto in piedi da un’imponenti vegetazioni e tra queste grandi agavi che sembravano mettersi in mostra spiovendo verso la stretta fascia di terra che le separava dal mare. Era un paesaggio complicato che ricordava le coste liguri e a tratti quelle del Conero.

Forse fu in quella circostanza, ma anche nell’accorgersi che dove abitavamo eravamo circondati da queste piante, forse fu rendersi conto che tutta l’isola, compresa la zona mineraria di Monte Capanna, ne era diffusamente arredata, che ci sentimmo attratti, io soprattutto, dalle agavi.

L’Elba è stupenda. Lo è anche per quanto detto. Spero ci torneremo prossimamente.

In ogni caso i pochi minuscoli germogli in tutti questi anni si sono dati da fare.

I nostri vicini e alcuni parenti sono stati coinvolti nella coltivazione e oggi si vedono alcune belle agavi cresciute vicino all’entrata delle loro case.

Ciò che stupisce è che, da noi, le piante si sono generosamente replicate e oggi abbiamo nel nostro giardino, al netto di quelle donate, ben 16 agavi di varia grandezza.

Oltre a tagliare l’erba con cognizione di causa, come ho raccontato qualche tempo fa, amo fare un giardinaggio particolare. Amo per esempio replicare le piante. Non tutte, soltanto alcune. Tra queste amo replicare le agavi.

Recentemente ho osservato a lungo alcune di esse. Mi è piaciuto coglierne i particolari, la loro crescita lenta e le lunghe foglie carnose.

A parte le caratteristiche e le varie tipologie, ci si potrebbe fare un trattato, ho scoperto (1) che Il nome agave deriva dal greco “agauos” che significa meraviglioso; aggettivo che pare sia stato attribuito a un gruppo di piante dagli Spagnoli al momento del loro sbarco sul suolo americano al tempo di Cristoforo Colombo. Questa interessante pianta fu portata in Europa intorno al Seicento e sulle coste del nostro continente essa ha trovato clima e terreno così favorevoli da acclimatarsi con la massima facilità.  Non contento ho cercato se esiste una simbologia, e qui ho trovato degli spunti interessanti che possono lasciare sorpresi e colpiti. Infatti se da un lato la pianta è simbolo di “sicurezza” provata o desiderata, essa rappresenta anche un forte monito a vivere appieno la propria vita. Ecco come viene spiegata la simbologia in un sito specializzato (2): Nel linguaggio dei fiori e delle piante il fusto contenete i fiori dell’agave simboleggia la sicurezza, regalare una pianta di agave ad un amico significa che si considera il sentimento di amicizia sicuro e fermo, desiderio di un’amicizia eterna. Il significato di eternità e sicurezza prese vita nel corso dell’800 e fu legato al fatto che questa pianta, data la sua maestosità, non porta alla mente nessuna immagine di distruzione o morte. L’agave ha, però, un altro significato, dovuto alla particolarità di fiorire una sola volta prima di morire, rappresenta infatti un amore talmente grande che può arrivare alla  distruzione.

Ma non è tutto. Ci sono molti componimenti dedicati a questa pianta. E autorevoli. Oltre a Lorca, anche Montale e Primo Levi hanno composto dei versi (3). Nel primo caso il poeta soffre il suo “essere fermo e arroccato”, pur aggrappato su una roccia, temendo il fuggire della vita. Nel secondo caso, pur protetto l’uomo si sente al sicuro ma sente comunque di essere predestinato, e questa cosa gli è di difficilissima comprensione.

Beh, cara agave, c’è di che meditare …

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Citazione: da Agave di Federico Garcia Lorca (da Poema del cante jondo)

Immagini: agavi by Pixabay

Note: (1) dal sito https://www.inseparabile.com/ – (2) dal sito https://ilgiardinodeltempo.altervista.org/ – (3) riferimento a L’agave sullo scoglio di Eugenio Montale (da Ossi di Seppia) e a Agave di Primo Levi (da Ad ora incerta)

Agave

Rosellà

Lasciati guidare dalla bambina che sei stata …

Rosella, Rosellà!
Ogni anno che passa, ci pensa il calendario a comunicarcelo, ti vedo sempre più giovane, non solo giovanile.
Le tue espressioni spontanee, i tuoi sguardi attenti e concentrati, i tuoi sorrisi, mai casuali, mi donano momenti di stupore che si trasformano in gioia.
Ogni volta come fosse la prima.
Siamo insieme da quattro decenni eppure non li sento.
Penso sia così anche per te.
Di nuovo c’è che mi pare di conoscerti da sempre, anche quando i nostri sguardi non si potevano incrociare.
Guardo spesso una tua foto, scattata in Francia, ai tempi della scuola d'infanzia, quando avevi 4 anni. Ti osservo e guardo le tue manine e i tuoi occhi rivolti verso di me.
Sei dolce e tenera.
Hai uno sguardo attento, curioso e accogliente.
E sento che già ti conoscevo. Non lo sapevo ma già ti aspettavo.
Ancora lasciati condurre dalla bambina che sei stata...
Rosella, Rosellà!

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Citazione by José Saramago (frase adattata by G.F.)

Foto by GiFa da raccolta foto di Rosella Canale

Immagine: particolare da La Bambina di AnCa 2021

Testo tratto da Diario 2021 di Gianni Faccin ed Gedi

La bambina

L’arbre et le vieux banc

Uno sguardo attento e amorevole sulle persone e le cose della nostra vita ci dischiude la possibilità di scoprire l’oro nell’esistenza quotidiana.

Prefazione brevissima

Chi segue questo blog e mi legge potrebbe essere tentato di pensare che io sia fissato con panche e panchine. Non è così. Dico soltanto che ne noto alcune ogni mattina quando guardo fuori per ammirare la vista, prima di vòlgere lo sguardo altrove.

Ne osservo una in particolare, la osservo a lungo, non ho capito ancora perché, e mi accorgo di sfumature e situazioni mai percepite prima. Mi succede a qualsiasi ora del giorno, ma specialmente di presto mattino e la sera, verso l’imbrunire.

Invece sono sicuramente fissato con altre cose, per esempio con la lingua francese. In tal caso so perché.

Come che sia, se si impara ad osservare quanto ci circonda, a partire dalle cose più semplici, nascono sensazioni e immagini inaspettate.

Bene veniamo alla storia. E’ giusto ch’io dica che quanto scritto è in parte veritiero e in parte frutto di fantasia. Non distinguerò le due versioni.

L’albero e la vecchia panchina

Accadde nel mese di agosto. Fu uno strano mese solitamente caratterizzato da grande calura, anche in alta montagna. Quella volta sembrò autunno. Un autunno quasi invernale.

Prima faceva caldo, caldo, caldo. Poi agli inizi del mese noto per le ferie e le vacanze estive, d’improvviso, fece freddo, freddo, freddo.

I turisti furono presi di sorpresa, non avendo sempre con sé l’abbigliamento adeguato. Gli stessi paesani, abituati agli sbalzi di temperatura ma impreparati, furono spiazzati.

Chi aveva appena iniziato un breve periodo di ferie appariva sconsolato, a dir poco.

Qualcuno se ne tornò a casa, in pianura. Qualcun altro accese la stufa. Ci fu senz’altro chi sopportò mentre il piagnisteo collettivo si diffondeva anche sui social, anzi specialmente sui social. Molti si preoccuparono, altri ancora fecero finta di niente.

Presso la macelleria, uno dei più frequentati luoghi d’incontro, meglio che la posta o la farmacia, si potevano ascoltare le consuete lagnanze, tra una domanda e l’altra del macellaio: un tempo così non capitava da decenni… un tempo così variabile non è mai capitato… speriamo arrivino il sole e più caldo… la televisione dice che il bello deve ancora venire… il tempo non si può controllare… e ancora… si sa il tempo fa quello che vuole, non si è mai sposato

Eravamo allo sbando stagionale…

Non c’erano segnalazioni di presenza di funghi, cosicché i soliti cercatori – sempre assatanati al riguardo – si arresero. L’attività ludica all’aperto dei bambini, con i loro tradizionali vocii e schiamazzi si arrestò.

Le inizitive sportive, solitamente ben programmate e coinvolgenti, che riguardavano sia tennisti sia calciatori, sembrarono sparire.

Perfino le attività al coperto, hochey su pista, smisero di colpo.

I mercatini di prodotti locali, solito appuntamento annuale per gli amanti della gastronomia di montagna, non si presentarono alle date usuali.

Anche le iniziative indoor di tipo culturale fecero fatica a trovare partecipanti.

Colpì l’attenzione di alcuni osservatori la situazione delle tre istituzioni storiche: la messa in parrocchia fu celebrata solo nei giorni festivi (ma qui anche per altri motivi dovuti alla curia, non essendoci più un prete di stanza), il consiglio comunale venne sospeso dal sindaco che nel frattempo si trasferì in una vicina località balneare alla ricerca del sole e di tranquillità e l’associazione consumatori, molto presente tra i paesani, venne sciolta, ad majora.

Scherzi del freddo agostano? Non penso sia stato solo quello. Ma una cosa era sicura: faceva freddo assai.

Passarono i primi giorni di agosto e ancora faceva freddo, freddo, freddo.

Il cielo si schiariva, poi si annuvolava, poi si vedeva uno squarcio di sereno, poi tornava il nuvoloso, con colorazioni grigio scuro, cielo plumbeo.

In certi momenti, pur consapevoli che sopra le nuvole stava il sole a campeggiare, si temeva il peggio. Quando si alzava l’aria fredda e aggressiva, capitava di sentirsi sferzati in viso da qualcosa che poteva essere una frasca gelida e a tratti bagnata.

Ecco che si correva rapidi, rapidi, rapidi in casa al sicuro.

Si abbassavano saracinesche, persiane e si chiudevano i battenti.

Pioveva, pioveva, pioveva. I vecchi pluviali traboccavano e mettevano in luce tutti i loro punti deboli. Sui tetti, la presenza di erba e foglie, vicino ai lucernari, ostacolava il fluire dell’abbondante acqua, formando piccoli acquitrini aerei, premessa per inevitabili e costosi interventi di manutenzione.
L’andirivieni anomalo di topi dalle piccole dimensioni, già era un dato che incuriosiva non poco i paesani. I piccoli roditori si comportavano come fosse in arrivo l’inverno e andavano e venivano per procacciarsi minuscoli gusci o noci selvatiche. Lo facevano anche di giorno, poi si nascondevano negli anfratti.

Insomma vivevamo un robusto anticipo di stagione fredda, fuori stagione.

Innanzi a noi si vedevano meno le scorribande di caprioli, di solito ben presenti per nutrirsi di erba fresca.

Il tormentone più in uso era: Ma quando torna il bel tempo? Ma quando potremo riprendere le passeggiate?

Ed in effetti, era evidente come anche le tipiche passeggiate nei boschi avevano subito una decisa battuta d’arresto.

Dai vicini sentieri che portavano verso gli alti boschi cedui, partivano di rado escursionisti o semplici amanti delle passeggiate nel bosco.

E fu proprio questo pensiero che ci accompagnava che ad un certo punto ci fece scorgere un cambiamento all’inizio di uno dei sentieri più noti.

Riguardava la panchina ben visibile da lontano. Essa pur autoreferenziale per molte ore al giorno, occasionalmente era sostegno per il viandante ignaro di tanta disponibilità. Era là per lui.

Era la storica panca che stava di solito sola in mezzo al prato e che era un simbolo di beata solitudine, di benefico isolamento, di riposo incontrastato, di rifugio pacifico in mezzo alla natura, silenzionsa e profumata.

Ebbene, non era più così. Si era mossa.

Difficile immaginare uno spostamento tattico disposto da qualche passante.

Difficile credere si fosse spostata autonomamente.

Di sicuro non si era spostato l’albero, che si trova in quel posto da decenni.

Fatto sta che, una mattina di agosto, tra il feddo e la pioggia, la panca è stata vista in compagnia di un vecchio albero. Sodalizio definitivo a quanto sembrava.

Fun senz’altro una sorpresa, almeno per noi.

Il vecchio albero, non altissimo, era stato avvicinato dalla panca, pure in età avanzata.

Ecco che i due, non più curati dai passanti, peraltro spesso distratti da altre cose, avevano deciso di farsi compagnia e di stringere un patto.

Si è senza dubbio trattato di un compromesso: entrambi soli e emarginati, l’albero era stufo di non essere guardato, ammirato, fotografato; mentre la panca, solitamente supporto per chiunque, era stanca di non poter essere utile, di non riuscire ad essere ristoro per qualcuno, occasione di pausa per chi volesse trovare rifugio nel “momento presente”.

Per comune necessità era nata una collaborazione: offrire al passante un momento di pace all’ombra di un vecchio albero, proprio in un periodo in cui, visto il meteo incombente, l’ombra e la pace non erano le cose principali ricercate dalle persone.

E passarono i giorni e le settimane.

Alla fine tornò timidamente il bel tempo, quasi inaspettato. Non fu più caldo, caldo, caldo, ma nemmemo freddo, freddo, freddo. Seguirono giornate di estate, ma con aspetti che facevano pensare all’autunno imminente.

Successivamente albero e panca rimasero insieme, non più in solitudine e distanza, ma accoppiate e unite in un unico scopo: offrire accoglienza e ristoro. Dare un’opportunità, a chiunque.

Siamo al vero autunno. Il tempo rimane variabile, ma il sole insiste nel voler uscire tra le nuvole, se non altro a ricordare chi effettivamente governa.

Agli occhi attenti di chiunque osservi, ancor oggi, appare una tenera abbinata di legno, tra il legno vivo di un vecchio albero e il legno usato, intagliato e verniciato di una vecchia panchina. Entrambi più vigili di qualunque passante e più accoglienti di moltissimi umani.

Lo dimostra la loro attuale immagine: distanti quanto basta, vicini il necessario, anzi, vicini,vicini, vicini.

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Citazione: da L’oro interiore di Anselm Grün – Ed. Saint Pauls

Immagini: foto e galleria by GiFa 2021


Gatto RiGatto

…il gatto vuole essere solo gatto ed ogni gatto è gatto dai baffi alla coda…

Gli animali furono imperfetti,
lunghi di coda,
plumbei di testa.
Piano piano si misero in ordine,
divennero paesaggio,
acquistarono nèi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso: nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.
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Oggi scrivo ancora di gatti. Certe volte mi chiedo se – senza saperlo – io non sia un potenziale “gattaro”. In realtà mi piacciono i gatti, come anche altri animali, ma tendo sempre a mantenere con loro una rispettosa distanza, che sento “giusta”.

Orbene, sono molti i gatti e gattini che sono stati e sono ospiti a casa nostra. Abbiamo perso il conto. Ora c’é Gatto RiGatto, quello delle foto.

Lui è implacabile, sempre in movimento e in agguato. Ama giocare con i piccoli rettili, le lucertole in particolare. Ne troviamo tante alla fine dei giochi, immobili nel prato, perché già prive di vita.

Il gattone, ormai è grande e vaccinato (questa cosa non credo), fa di tutto per entrare in casa. Noi lo invitiamo a stare fuori, ma ciò non toglie che riusciamo ad avere con lui un buon rapporto anche se occasionale. E poi gli abbiamo dato un nome, Gatto RiGatto perchè viene – sparisce – torna – se ne va – ritorna.

Spesso è solo di passaggio, passa con agili balzi da una famiglia all’altra, guardandoci mentre attraversa il nostro ampio prato. Ci è capitato di vederlo girovagare nei campi davanti alla nostra abitazione, attraversare la strada e guardarsi attorno, sempre con grande calma.

Invece capita sempre più spesso, sarà l’età, che venga da noi a dormire sotto la pergola, all’ombra.

Non è il nostro gatto, ma è come lo fosse. E lui lo sa.

Quello che forse non sa è che sappiamo anche del suo orgoglio e della sua anima libera. Per questo lo intratteniamo, gli offriamo qualche coccola, gli parliamo. Ma lo lasciamo nella sua libertà.

Lui sa quello che vuole. Lui sì.

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Citazione e versi da Ode al Gatto di Pablo Neruda

Foto: by GiFa Schio estate 2021 – Gatto RiGatto

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2007, 14 luglio

La vita non si misura attraverso il numero di respiri che facciamo, ma attraverso i momenti che ci lasciano senza fiato.

Fu un anno molto particolare. Per gioie e dolori. Un anno di quelli che difficilmente si dimenticano e che ancor oggi fanno emozionare.

E il 14 luglio è una data importante per me, per noi.

In quell’anno, tra tanti sentimenti ed emozioni ci fu anche spazio per un soggiorno all’estero che ci emozionò in modo speciale.

Otto giorni, non di riposo, ma vissuti anch’essi intensamente, questa volta in una delle capitali più note, frequentate, nominate, spesso a sproposito, eppure così stimolanti ed intimistiche.

Era di luglio e faceva caldo.

Non era la prima volta che ci andavamo e non fu l’ultima. Ma in quell’occasione ci abbandonammo, anche senza renderci conto, alla vita sociale, sotto tutti i punti di vista.

Vorrei dire in maniera quasi compulsiva: volevamo vedere tutto, vivere ogni momento tipico della città. Esserci anche a scapito delle ore di riposo.

All’aperto si respirava un’aria frizzante di grande libertà. Le persone che incrociavamo erano estranee ma ci parevano conosciute. Specialmente nei café o nei bistrot, seduti vicini, vicini, pur provenendo da mondi lontani e diversi. Parlare e parlare, mangiare, bere e sorseggiare. E ancora parlare e osservare. Poi improvvisamente andare, per fermarsi altrove ad ammirare, osservare e chiacchierare. O semplicemente lasciarsi andare a pensare in leggerezza.

Tutti uguali e fratelli? Perché no? Certo non ci ponevamo questa domanda, né cercavamo risposte, desideravamo soltanto tuffarci nella mischia ed esserci.

Eravamo molto ben accompagnati, con Chiara e Nicola che erano in vacanza.

C’era affollamento, un grande affollamento che oggi ci sogneremmo.

Continuo a tutte le ore, a terra, in aria e sottoterra. Anzi sotto di noi percepivamo un altro mondo fatto di moltissime persone che andavano e venivano, senza sosta. Era la città sotterranea comune a molte capitali, ma che a Parigi è senz’altro tutta particolare. Una città sotto terra, viva, in movimento inesauribile, pullulante di persone dalle più svariate origini. Esempio, questo, della presenza di chiari contesti multiculturali.

Se ci fossimo, come è poi successo, elevati sulla cima della Tour Eiffel, avremmo visto, guardando giù nelle profondità – dentro alla Metro – una specie di grandissimo formicaio … Credo questo rendi l’idea.

Furono otto giorni di festa.

Fu specialmente festoso il 14 luglio, noto per la festa nazionale che si svolge in Francia dal 1880, in seguito alla “presa della Bastiglia”. Cadde di sabato, e già il venerdì sera, complice la pausa lavorativa, iniziarono i festeggiamenti in tutte le case e per le strade. Non fu solo l’alcol a fare la parte del protagonista, ma molti giovani e adulti, uomini e donne, ci dettero dentro a festeggiare senza limiti. Quasi ci fosse da perderci qualcosa.

Era una festa di tutta la collettività.

Facemmo da cornice a questi festeggiamenti, ma fummo dentro anche noi, a modo nostro. Camminammo molto.

Ci piacque moltissimo – durante il giorno – partecipare alle parate militari al gran concerto del 14 luglio al Champ de Mars, davanti alla Torre Eiffel.

Ma fu stupendo, la sera, dopo il concertone, sotto le zampe metalliche e giganti della torre, immergerci nel fiume umano che faceva concorrenza alla Senna. Ascoltammo, in super amplificazione, Chopin, Mozart, Bizet, Beethoven, poi Morricone e molti altri. Alla fine ci furono dei grandiosi ed interminabili fuochi d’artificio.

Ogni scia di fuoco nell’innalzarsi accompagnava meravigliose melodie musicali le cui note parevano scaturire dalla folla sottostante in movimento.

Era una scenografia fantastica dalla quale ci si sarebbe staccati con difficoltà. Anche la torre più famosa del mondo, che pareva di fuoco con i suoi 20.000 flash, vibrava con la musica.

La notte pareva non aver fine. Le luci non mancavano mai. Fu bellissimo perderci e ritrovarci in mezzo alla folla festante. Non c’erano differenze di genere, d’età, di cultura o di altro.

Fu in quegli attimi che perdemmo nuovamente contatto tra noi, ma ci ritrovammo subito dopo.

In quegli istanti non eravamo soli o smarriti. Eravamo con la nostra gioia, che la faceva da padrone. Eravamo in sintonia col mondo.

Alla fine decidemmo di rientrare seguendo il tragitto della Senna che – grande serpentone nero – si intravedeva di fianco a noi.

Momenti memorabili.

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Citazione: Maya Angelou, poetessa

Foto by GiFa luglio 2007:

.in evidenza “Ai piedi della T. Eiffel 1” –

.sotto: “Ai piedi della T. Eiffel 2” e “Momento di ristoro aspettando il concertone con Chiara – Rosella – Nicola”

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OLYMPUS DIGITAL CAMERA: “Ai piedi della T. Eiffel 2”
OLYMPUS DIGITAL CAMERA: “Momento di ristoro aspettando il concertone con Chiara – Rosella – Nicola”