Felicità, davvero?

Vorrei essere rimasto in contatto con gli amici, vorrei non essermi dedicato troppo al lavoro, vorrei essermi dato il permesso di essere felice. [seguito di Rimpiangere]

.

Vorrei, vorrei, vorrei … Ma insomma, che rottura! Andiamo al sodo.

Nella mia vita, avrei potuto essere più prossimo a tanti amici e ciò non è avvenuto sempre appieno, ma comunque oggi posso affermare di essere stato molto fortunato anche nell’incontrare in tanti anni innumerevoli persone che hanno condiviso con me cammini, viaggi, esperienze spesso inattese. Sono state per me varie forme di amicizia, dettate dalle circostanze o dalla necessità, dal carattere leggero e in taluni casi dal carattere intenso, profondo, anche complicato, a volte. In ogni caso sono stati momenti sacri di scambio autentico senza pretese e senza quelle aspettative che di fatto inchiodano le relazioni.

Non ho mai voluto assegnare un voto a queste amicizie, anche se apparentemente diradatesi oppure divenute “invisibili”. Non è questo che le estrania. Spesso ho riscontrato che il non frequentarsi non equivale all’esaurirsi della relazione, ma rappresenta invece il necessario distinguo nella relazione stessa, avendo ogni persona destinazioni distinte nel personale viaggio della vita.

Eppoi tra veri amici è fantastico ritrovarsi anche spontaneamente, senza una ricercata pianificazione.

In questa fase della mia vita, penso spesso agli amici che sono già andati dall’altra parte della riva. Certamente mi sarebbe piaciuto incontrarli ancora prima del loro grande passo, ma è andata così, il passato non è modificabile. Quindi cerco di mantenere vive le relazioni attuali.

Ultimamente penso spesso anche a chi conosco e che sta vivendo nella forzata solitudine, un essere soli subìto e non desiderato, quella situazione da togliere il fiato e il sonno e che ti ruba finanche ogni speranza. Qui l’amicizia si può creare ex novo, più difficile è rigenerarla.

È chiaro che essendo noi creature sociali siamo portate assolutamente a creare e a sviluppare relazioni sociali nonché a desiderare di confrontarsi con gli altri anche al semplice scopo di ben trascorrere il tempo. Dice Carmen Laval che la solitudine è uno dei grandi mali del nostro tempo. Un amico vero è probabilmente la persona che più può aiutare nella vita. Infatti un amico è l’unico che può capire come ti senti o quantomeno avvicinarsi a capirlo poiché è con il tuo amico che ti puoi aprire senza temere di essere giudicato. L’amico vero ti ascolta, ti aiuta e ti supporta. Se è amico vero …

E il troppo lavoro?

Su questo tornerò prossimamente.

Citazioni e riferimenti: vedere precedente “Coraggioso”

Immagine: People by Pixabay




Coraggioso

Vorrei esserlo stato nell’esprimere i miei sentimenti … e nel vivere una vita fedele ai miei principi e non quella suggerita dagli altri … [seguito di Rimpiangere]

È stato scritto che il coraggio è la forza d’animo che permette di affrontare situazioni difficili mantenendo comunque i principi e i comportamenti educati e civili. Il coraggio è quindi una caratteristica positiva, poiché ci aiuta a prendere decisioni difficili e ci spinge fuori dalla nostra zona comfort.

Ho preso per buona questa definizione, e, facendolo, vi ci ho trovato due approcci distinti e un utile collegamento da attivare.

Nel caso della forza d’animo ci ho visto il riuscire a far fronte ad una delle più importanti emozioni ovvero la paura. Si tratta di non scappare, atteggiamento più comodo, ma di saper gestire il disagio che questa emozione provoca. Essere fermi, affrontare le difficoltà create dal pericolo o dal rischio. È evidente che questa forza va costruita situazione per situazione, momento per momento. Non arriva in automatico. Tale forza va in controtendenza umana, ecco il secondo approccio, in quanto se la valorizziamo, se le permettiamo di usare lo spazio che le serve ci porta ad essere attivi e a non subire le situazioni. Diversamente, ed è profondamente umano,  saremo sempre tentati, di massima, a scappare dai disagi e a rintanarci o, come si dice dalla pandemia, a divanarci. In tal caso anche per qualcosa di diverso che è la paura dello sforzo fisico o mentale.  Talvolta soprattutto immaginari.

Un utile collegamento riguarda il mantenere i principi e i comportamenti educati e civili. Infatti il collegamento che, a mio avviso, va fatto con la suddetta forza d’animo è dato dalla nota assertività, ossia la capacità di farsi valere nell’esporre i propri punti di vista senza essere prevaricati, ma anche nel rispetto dei punti di vista altrui. Ho toccato con mano come spesso portare avanti il proprio punto di vista equivalga assolutamente a svalutare la posizione dell’altro e quindi l’altro stesso. Quasi non ci fossero che due opzioni io vinco e tu perdi e viceversa.

Una giornalista ha scritto che uno dei peggiori mali del nostro tempo è l’incapacità di esprimere i propri sentimenti alle persone. E’ la paura di aprirsi e di essere sinceri e questa paura è dovuta al dolore che può derivare dall’essere autentici, anche se fosse solo imbarazzo. Quante persone non si rivolgono la parola per non essere nell’imbarazzo? Invece da bambini eravamo forse degli alieni perché eravamo sinceri, puri, trasparenti e diretti. Oggi siamo separati gli uni dagli altri perché forse abbiamo perso per strada delle vere e proprie virtù.

Da parte mia ho nostalgia di quelle virtù, e credo di non essere il solo. Senz’altro ho anche io i miei “vorrei …”. Infatti, e ci penso spesso, vorrei avere avuto il coraggio di esprimere i miei sentimenti, il mio sentire, vorrei non aver ceduto alla paura di ricevere dei rifiuti, dei rimproveri, dei giudizi negativi, degli abbandoni. Vorrei non aver ceduto alla paura di dire dei “no”, magari motivandoli, ma dei “no” fermi che, superato l’iniziale imbarazzo o disagio, mi avrebbero fatto sentire realizzato e ovviamente soddisfatto.

Ci sono i “no” che riguardano le richieste di terze persone, ma garantisco che quelli più difficili, alla fine, sono i “no” da dire al mio giudice interiore per fare pace con il bambino.

Se poi guardiamo al diretto rapporto con i principi personali, vediamo quanto sia facile deragliare dai propri riferimenti. Del resto il mondo in cui tutti viviamo è fatto essenzialmente di apparenze e giudizi. Il comune vivere è caratterizzato dalla realizzazione di ciò che qualcuno si aspetta da noi o che pensiamo si aspetti da noi. Quindi diventa facile, con questo stile di vita, rinnegare i propri principi personali, per quanto siano sacrosanti.

Da questa situazione possiamo derivare sicuramente grande dispiacere, in seguito alla consapevolezza di aver compiuto degli errori anche gravi e di aver potuto evitarli inibendone ogni conseguenza.

Ho potuto notare che con il tempo che passa ogni cosa assume un peso diverso. Quello che prima mi pareva prioritario, diventa secondario e ciò che davo per scontato o che sospendevo diventa prioritario o di primaria importanza.

È chiaro, mi sarebbe piaciuto comprenderlo prima …

.

Citazione: da https://abitandoladistanza.com/2023/03/21/rimpiangere/

Immagine: Old woman e Legs by Pixabay

Riferimenti nel testo: Coraggio da cescoproject.org e I peggiori mali del nostro secolo by Carmen Laval


Rimpiangere?

La vita è qui da vivere e non da rimpiangere …

Rimpianto ha che fare con il ricordo. Infatti è il ricordo nostalgico e dolente di persone o cose perdute, o di occasioni mancate. Deriva dal verbo rimpiangere che significa rammentare una persona o una cosa con desiderio e nostalgia, ma insieme con la consapevolezza – spesso dolente – di non poterla avere più perché perduta o scomparsa, trascorsa o irrecuperabile. Fin qui le definizioni. Mi capita spesso di sentirne parlare dalle persone che incontro.

Ho però la sensazione che ci sia confusione tra rimpianti e rimorsi. Questi ultimi sono tutt’altro. I rimorsi sono i turbamenti che sgorgano da un errore compiuto nel passato recente o remoto, da qualcosa che si è fatto e che ha portato infelicità o dolore a noi o ad altri. Da qualcosa che si vorrebbe non aver mai fatto. Un’azione che, secondo l’etimologia, ci rimorde, che azzanna la nostra coscienza ogni volta che ci ripassa sopra, una consapevolezza tormentosa. Questo fa distinguere appunto i rimpianti che nascono da ciò che è andato perduto …

Sento anche dire: non voglio avere rimpianti! Desidero vivere senza rimpianti! Ecco, credo sia assai difficile che si realizzi una vita senza rimpianti, e lo stesso senza rimorsi. A chi non capita di perdere qualcuno e qualcosa a cui, tornando indietro, avrebbe voluto aver dedicato più tempo e più cura? E a chi non capita di aver sbagliato e, tornando indietro, non avrebbe averlo fatto? Ci sono domande che ci inseguono e talvolta ci mettono in crisi. Anche nel lungo termine. Credo che i veri rimpianti, quelli che contano veramente, possano presentarsi a noi nei momenti difficili o nei momenti più delicati nella nostra esistenza. Pensiamo a chi è in punto di morte ed è presente (cosciente) alla sua fase esistenziale. Bronnie Ware ne ha scritto in un noto libro in cui descrive i cinque rimpianti più grandi delle persone che stanno morendo. L’autrice ha lavorato come assistente ai malati terminali.

E prendiamo in visione questi “rimpianti”:

  • Vorrei essere stato coraggioso nell’esprimere i miei sentimenti;
  • Vorrei essere rimasto in contatto con gli amici;
  • Vorrei essere stato fedele ai miei principi e meno alle aspettative altrui;
  • Vorrei non essermi dedicato troppo al lavoro;
  • Vorrei essermi dato il permesso di essere felice.

C’é un verbo in comune in tutti i cinque rimpianti: “vorrei” … È un verbo condizionale. Significa che quello che volevo (o voglio) non si è potuto realizzare (non può realizzarsi) perché sono mancate (mancano) delle condizioni personali o contestuali. Ed è questo vorrei che da un lato pone un limite all’apparenza invalicabile, e dall’altro fa esplodere rimpianti, spesso a scoppio ritardato.

Come che sia, prendendo in carico a ritroso i rimpianti suddetti aggiungerò le riflessioni personali nei pezzi di questo blog che seguiranno.

.

Citazione: da Frasi di Max Pezzali

Immagine: Train by Pixabay

Riassunto: by Carlo Emilio Gadda

Riferimenti nel testo: definizioni da Treccani.it – Fanpage.it – Meglio.it – Carmen Laval

Riferimenti libro: da Vorrei averlo fatto – I cinque rimpianti più grandi di chi sta per morire di Bronnie Ware – 2012 Ed. MyLife


2023 speranze

Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più

E’ il tempo che passa, vola, viaggia in avanti senza guardare in faccia a nessuno.

Questo è.

E come succede per altri vissuti non si spiega, semplicemente è, e basta.

Rimane il dispiacere di non aver trascorso meglio quel tempo, di non aver avuto più coraggio, di non aver saputo scegliere.

Spesso siamo presi dal grande rumore di sottofondo e non prestiamo attenzione alla chiamata che ci viene rivolta, che ci sta innanzi. Come un pugno diretto in viso. Lui arriva, lo prendiamo, fa male, ma non lo vogliamo vedere.

Rimane il sapore amaro di non essere stati all’altezza delle situazioni, di non aver risposto a certe richieste, di non aver capito i segnali.

Rimane, anche come lontano ricordo, il disagio di essere stati d’impiccio se non addirittura offensivi. Di aver ferito.

E questo richiederebbe comprensione e il cosiddetto perdono. Rimane allora la speranza di un perdono.

Proprio di recente J. mi ha passato un biglietto che ha trovato casualmente lungo una strada. Un biglietto che le ha aperto gli occhi del cuore proprio parlando di perdono (erano i giorni dell’Avvento). Lo scritto, rovinato dalla pioggia, era ben chiaro e ancora una volta si rifaceva a un detto ben noto:

Dove c’è amore non c’è bisogno del perdono, perché quando ami, ami e basta”.

Amore? Ma quale amore?

Rimanendo su quanto riportato non può che essere un sentire che va oltre l’umano. Un sentire disinteressato, che ponendosi come centro della morale e della volontà, non può che divenire fonte di bene.

Pare difficile, ma ce la possiamo fare.

Ecco che si compongono le speranze che ci possono accompagnare nel tempo futuro.

Questo è, e basta.

.

Citazione e riferimenti nel testo: attribuzione a S. Agostino

Immagine: Hope by Pixabay


Venti opposti

Nessuno che sia sempre stato libero può comprendere il terribile fascino della speranza di libertà per chi non è libero.

E’ passato poco più di un mese dall’ultimo scritto, su questo blog. Un po’ mi è mancato lo scrivere, ma poi mi sono ricordato che è importante fare una pausa. Pausa che mi ha permesso di accelerare nelle mie letture. Non solo studio, documentazione, aggiornamento e lettura creativa. Ho desiderato e sono riuscito a leggere per il gusto di leggere. Ho proseguito nel riscoprire, come si può dedure dalle mie ultime uscite, certi classici già letti nell’adolescenza. Ho inziato a leggere una scrittrice da sempre a me cara Pearl S. Buck. Le sue storie sono sempre ambientate in Asia e raccontano i drammatici scontri fra generazioni che si sviluppano nelle famiglie cinesi o indiane di antiche tradizioni. Sono racconti e romanzi ambientati tra il 1930 e il 1950 che raccolgono quasi sempre il forte contrasto tra poli opposti (occidente e oriente, uomo e donna, modernità e tradizione, ricchi e poveri, democrazia e monarchia, ecc.). L’autrice riesce sempre a evidenziare per esempio quanto l’uomo e la donna possano avvicinarsi e integrarsi ma quanto siano distanti per formazione culturale, carta d’identità, pregiudizio e adesione religiosa. Lo stesso vale per gli altri poli. Guardando ai contesti, questi passano dall’apparente impossibile dialogo tra nuovo e vecchio mondo come dal perdurare di guerre di invasione tutte asiatiche (vedi il perenne conflitto Cina – India).

Immagine Wikipedia

La scrittrice, premio Nobel nel 1938 per la letteratura, mi ha sempre colpito con le sue opere, e ci riesce ancora. Rileggendola, oggi, mi sono trovato a ripercorrere moltissime tappe, scrupolosamente descritte minuto per minuto dai media, riguardanti la guerra in Europa. A volte pare un “copiaincolla”. I libri della Buck sono ispirati a vicende vere di quasi un secolo fa. Quella che viviamo oggi, molto simile ai resoconti che si trovano in quei libri, non è un romanzo, è una grande tragedia anche perché ci dimostra con il sangue di moltissime persone che come umani non siamo stati capaci di progredire veramente.

.

Citazione: https://le-citazioni.it/autori/pearl-s-buck/

Immagine: P.S. Buck da https://it.wikipedia.org/wiki/Pearl_S.Buck#/media/File:Pearl_Buck(Nobel).jpg


E noi … che possiamo fare?

La guerra non è uno spettacolo …

Inizio riprendendo parte di una citazione proposta nei versi di qualche giorno fa. Versi che mi hanno colpito profondamente portandomi a vivere i panni di chi viene “invaso”e a sentire dentro tutta l’inevitabile e conseguente impotenza.

La guerra non è uno spettacolo … che si guarda e si ascolta sul divano. Oppure che si combatte a colpi di tastiera o battendo sul display all’interno di una delle tante app. Se uno di noi sta sotto le bombe come succede alle nostre sorelle e fratelli ucraini … possiamo dire solo due parole: siamo con te! E fare almeno una cosa: esserci! Esserci in qualche modo.

Sentirci impotenti o incapaci rispetto a questa guerra come a tantissime altre in corso sul nostro pianeta, tenuto conto che questa ci è molto vicina essendo alle porte di casa, non ci fornisce alcun alibi per continuare a stare dubbiosi sul divano.

Dice la Treccani che impotenza è la condizione di chi o di ciò che è impotente, nei vari significati: a operare, a lottare, a tener testa al nemico; impotenza di un governo, delle leggi; riconoscere la propria impotenza di fronte alle forze della natura o alle avversità del destino …

Non è un bello stare il senso di impotenza. E’ uno stato di disagio. Uno stare che ci viene difficile riconoscere ed esprimere. Anzi quando lo riconosciamo lo spostiamo spesso dall’io al noi. Ed è interessante proprio in questo periodo registrare come alla domanda essenziale “e io che posso fare?” ci viene facile inserire il noi, come nel titolo del presente pezzo. E noi … che possiamo fare?

Forse quando avvengono eventi ritenuti fino ad un momento prima impossibili a realizzarsi, come una guerra vecchio stampo in piena Europa, condotta da personaggi senz’altro molto discussi, ma talmente resi divi dalla comune narrazione da divenire moderni protagonisti, pur dittatori, preferiamo non esporci in prima persona, ma riscopriamo il noi, che è un senso collettivo. Quel senso di comunità che pare essere stato gradualmente dimenticato nell’ultimo ventennio.

Quello stato di comune destino, pur con le notevoli divisioni e incomprensioni a livello planetario, tra nord e sud, est e ovest del mondo. Quello stare insieme diversissimi ma uguali. Quell’essere umani distruttori quasi consapevoli del proprio pianeta, ma anche desiderosi di dare speranza al futuro delle nuove generazioni. Impegnandosi anche molto, spesso tutt’altro che ben consapevoli di quanto stia veramente avvenendo. Per esempio in tema di clima e inquinamento, di deforestazione e emissioni nocive. Di progressivo impoverimento delle popolazioni a vantaggio di pochi. Di invecchiamento delle popolazioni e di deficit demografico, almeno in occidente.

E in questo scenario, con ancora presenti gli effetti di una pandemia, un grande paese europeo invade un altro paese europeo, più piccolo. Facendo uso della violenza delle armi. Abusando dell’altro, non parimenti potente. Imponendo al mondo nuovissime incredibili paure e ansie. Accusando di genocidio, ma praticandolo nello stesso tempo, in diretta. Facendo rimettere in movimendo gli investimenti in carbone e in armamenti.

Qualcuno dice: ritorno al secolo precedente, e più indietro ancora.

E noi che possiamo fare?

Noi che siamo impotenti nei fatti e che ci sentiamo impotenti di fronte a questa tragedia?

No, non siamo impotenti. Io sono convinto che possiamo superare il senso di impotenza, reagendo e facendo squadra partendo dal basso, dal piccolo, da sotto.

E’ importante darsi da fare e fare ognuno qualcosa che in qualche modo crei speranza negli altri e nel mondo.

Rimettiamo in moto la speranza.

Alla faccia dei guerrafondai, dei complottisti e di chiunque abiti comodamente il proprio delirio di onnipontenza.

.

Immagine: by Pixabay, il delirante

Riferimenti: Enciclopedia Treccani e Introduzione (liberamente adattata) alla puntata del 4 marzo 2022 RAI Radio Uno Jack Folla, un dj nel braccio della morte – vedi pezzo https://abitandoladistanza.com/2022/02/14/a/


Stai con me

… non solo inno d’amore

Quando la notte è arrivata e la terra è ricoperta dall’oscurità
e la luna è l’unica luce che possiamo vedere
no, io non avrò paura, io non avrò paura
fino a quando tu sei, sei accanto a me
.

Se il cielo che guardiamo sopra di noi
dovesse precipitare e cadere
oppure le montagne dovessero rotolare nel mare
io non piangerò, non piangerò
no io non verserò una lacrima
fino a quando tu rimani, rimani accanto a me
.


Ci sono momenti nella vita in cui proviamo sensazioni dentro di noi che non riusciamo a tradurre in parole e ad esprimere facilmente. A ritrasmettere. E’ questione di attimi…

Poi le riviviamo nell’ascolto di una melodia o nel fare nostro un testo di una canzone incrociata casualmente. Magari di una canzone sentita spesso, ma sulla quale non ci siamo mai soffermati a pensare. Salvo cantarellarla distrattamente, senza conoscerne il profondo significato.

Quello sopra riportato è un esempio in cui, oltre 60 anni fa, veniva valorizzato l’amore vissuto nella sua forma più semplice e al tempo stesso autentica.

Stare insieme, condividere e aiutarsi specialmente nei momenti difficili, che è normale ci siano nella vita di ognuno di noi.

Non è normale che non riusciamo a cogliere questa grande opportunità di “essere insieme”.

Non è questo un ingrediente fondamentale del cosiddetto Amore?

Amore che si può declinare nelle parole “accanto” e “stammi vicino”, e che, per me, non sono solamente richiami alla vita sentimentale o di amicizia, ma rappresentano anche una forte ispirazione alla vita di comunità.

.

Brano: traduzione da Stand by me, testo interpretato da Ben E. King (1961) scritto da Ben E. King, Jerry Leiber e Mike Stoller 

Immagine by Pixabay: Divertimento in amicizia


Quando verrà Natale …

Ogni bimbo che nasce ci porta la notizia che Dio non si è ancora stancato degli uomini.

Ecco che ci risiamo. Da almeno venti giorni siamo nel pieno dell’attesa del Natale. Per chi crede in questa ricorrenza annuale c’è un alto valore umano richiamato da alti significati. Per chi non crede … non so.

Si chiama Avvento questo periodo, che significa “venuta” ma che viene meglio interpretato come “attesa”. Attesa del Signore.

Eppure si ripete ogni anno una liturgia a cui quasi tutte le persone sottostanno. Credenti e non. Ricreare la magia del Natale: luci nelle luminarie cittadine, ornamenti, l’albero, i regali (spesso subiti nel predisporli come anche nel riceverli), gli auguri a raffica, riempiendo i telefonini di messaggini frettolosi e i social di immagini ad effetto, pranzi e cene, ritrovi, babbi natale, renne, elfi, euforia e luci, tante luci … Ma che significa tutto questo?

A Natale siamo tutti più buoni o più invasati?

C’è sicuramente una miscela di tradizioni e di significati non soltanto religiosi in questo fenomeno, significati che percepisco in forte crollo, anche tra i non più giovani. Quello che lega ancora insieme il composto natalizio è l’approccio consumistico che ci riguarda tutti passando trasversalmente nel mucchio. E’ la civiltà dei consumi che ci abbaglia e attira con le sue luci intermittenti, come raccontava già nel 1963 Italo Calvino (1). E’ stata una grande manipolazione di massa che ancor oggi ci fa vivere il Natale come una grande “sagra”, nonostante gli enormi problemi che ci portiamo addosso tutti.

Quel che mi colpisce ogni anno sempre di più è quanto questa cosa sia fugace. Corriamo come matti fino alla vigilia, per esempio per far sì che sia tutto perfetto, tutto a posto, ogni regalo preparato, e poi celebriamo il giorno della festa e tutto finisce lì in poche ore. Il giorno dopo si riprende la solita vita, come nulla fosse accaduto.

Ma gli auguri ce li scambiamo per fare un buon pranzo in famiglia o per quale altro motivo?

Personalmente mi sono stancato di queste cose. Anche io sono attratto dal clima magico del Natale, ma sento dentro di me di detestare ogni ipocrisia e ogni sovrastruttura che accompagna questa ricorrenza, falsità di ieri e di oggi.

Per Natale anche quest’anno desidero un cambiamento. Gli auguri voglio scambiarli, ma non per abitudine …

Un noto cantautore d’altri tempi scrisse e cantò una canzone emblematica, per quanto provocatoria già nel 1974: quando verrà Natale tutto il mondo cambierà … Tutto sorriderà (2).

In effetti mi aspetterei fosse così, leggendo il testo in positivo. Riuscire noi umani ad essere meno disumani, proprio a cominciare dal Natale, che altrimenti si conferma essere solo un momento di pausa, di riposo e di grande manipolazione, fatta e subita. Per una cifra di persone una festa che mette a posto la coscienza e i rapporti familiari, ma che rappresenta un allenamento preparatorio alla grande sagra in arrivo, quella dell’ultimo dell’anno, con la gente prevalentemente fuori di sé. Imbriacatura generale. Evasione illusoria dal quotidiano reale.

No, si puà fare di meglio.

Il primo passo che tutti possiamo fare è dare attenzione agli altri. Proprio in occasione del Natale. E poi proseguire a farlo …

Mi piace riportare una frase di un noto cardinale italiano (3) che è un chiaro invito: Santifichiamo così il Natale. Ognuno di noi programmi un gesto di bontà, un passo per far pace con qualcuno al quale abitualmente voltiamo le spalle; ognuno prepari un’iniziativa per asciugare una lacrima e sentirà nel cuore la stessa gioia che provarono i pastori quando videro il Figlio di Dio nella povera mangiatoia di Betlemme.

E’ un invito-proposta che pare non essere molto complicato, di certo è di grande impatto. Così quando verrà Natale tutto il mondo inizierà a cambiare!

.

Attesa, paura e disperazione

.

Citazione: Rabindranath Tagore – poeta

Immagini: momenti tratti dal film The Unforgivable (2021) by Netflix – immagine sopra: attesa, paura e disperazione in Katherine (A. Franciosi); immagine in evidenza: tristezza e dolore in Ruth (S. Bullock).

Riferimenti: (1) Marcovaldo ovvero le stagioni in città, Italo Calvino – Einaudi; (2) Quando verrà Natale in album omonimo del 1974 di Antonello Venditti; (3) citazione del Card. Angelo Comastri.


TosaTore

Il regalo più grande che tu possa fare a qualcuno è il tuo tempo. Perché regali un pezzo della tua vita che non ti ritornerà mai indietro.

Mi sento un tosatore tutte quelle volte che mi spingo a tagliare l’erba del prato. Meglio un T-osa-T-ore.

La consonante “t” ripetuta due volte è maiuscola perché evidenza l’importanza del “tempo”.

Questo che mi è venuto naturale scrivendo è un esercizio che si avvicina quasi alla ricerca di acrostici.

All’interno “osa” e “ore”, due sostantivi caratteristici che riguardano l’invito a osare, la prima e l’unità di misura del tempo, la seconda.

Riprendo da quest’ultimo. Il tempo è un argomento tanto citato quanto dibattuto. Eppure è necessario che lo consideriamo meglio un po’ tutti. Infatti ciò che conta non è la quantità di tempo ma la qualità in cui esso viene impiegato. Come dice Pessoa, il valore delle cose non sta nel tempo in cui esse durano, ma nell’intensità con cui vengono vissute. Per questo esistono momenti indimenticabili, cose inspiegabili e persone incomparabili. E Randolph, il tempo è la più preziosa e la più deperibile delle nostre risorse, in quanto il passato è passato e non lo possiamo recuperare. Il futuro lo possiamo realizzare, ma non c’è ancora. Soltanto il presente ci appartiene.

Ecco la parola ore. Un’ora è fatta di soli 60 minuti, seguendo la legge dell’orologio. Mi piacerebbe riuscire a non sprecare neanche un minuto delle ore che mi appartengono. E sappiamo bene come passino veloci i minuti.

Osare, ossia ardire. Avere il coraggio di andare oltre, uscire dagli schemi, muoversi controcorrente, fare una cosa rischiosa, per esempio essere sinceri quando tutti fingono, parlare quando tutti tacciono, farsi vedere quando tutti si nascondono.

Osa! Questo è l’invito che mi rivolgo più spesso. Abbi il coraggio, mi dico, anche di scegliere, di fermarti, di lasciare andare, di dire dei no. Forse dipende dal tempo che passa inesorabile, per dirla con Napoleone: puoi chiedermi tutto quello che vuoi, tranne che il tempo.

E l’erba del prato? Che c’entra?

Quando taglio l’erba è un momento per sentire il momento presente. Vedo il passato che se ne va all’istante (l’erba tagliata) e il futuro lo intravvedo sul presente che è reale ed è un bel tappeto erboso uniforme, ed immagino quando ricrescerà. La “tosatura” è comunque un servizio necessario, non sempre piacevole. Mi è assai gradito quando lo posso fare con calma, senza orari e pressioni.

Di solito evito di affrontare l’erba troppo alta, ma qualche volta mi succede e l’opera mi riesce più impegnativa.

Infatti è un’opera. Intendiamoci non mi ritengo un “pollice verde”, anzi non me ne intendo proprio di gestione del verde, anche se mi piacerebbe essere più esperto. Ma è sempre un momento particolare quello che riguarda la gestione del prato inglese (chissà perché lo chiamiamo inglese anche se si trova qui, in Italia) perché vorresti averlo bello, regolare né troppo alto né troppo basso, insomma da poterci giocare a golf o almeno immaginare di farlo.

Adesso che ci penso, uno dei miei vicini va spesso lontano a giocare a golf. Quando ne parlammo, molti anni or sono, mi ha spiegato che il tipo di gioco, ma soprattutto l’immenso verde – all’inglese – gli permette di ritrovarsi, senza bisogno di parlare con altri e poi il verde esteso ha un potere rilassante.

Sì, è vero, è verissimo…

Io non gioco a golf, ma quando faccio il TosaTore, quasi sempre, provo le stesse sensazioni.

.

Citazione: dal web (fonte anonima)

Immagini: orologio di Parigi e rasaerba by Pixabay

Orsay

jardin… mon amour!

Il bello del giardinaggio: le mani nello sporco, la testa baciata dal sole, il cuore vicino alla natura. Coltivare un giardino non significa nutrire solo il corpo, ma anche l’anima.

Non voglio esagerare, ma la citazione sopra dice tutto.

In realtà mi sento di dare una versione più “terra terra”.

… Le mani mai pulite e mai inodori, la testa cotta dal sole estivo, il cuore tutto un battito, il mio essere immerso in un paradiso molto vasto e in certi momenti infinito. Coltivare un giardino è ritrovare la propria essenza … (1)

In ogni caso è un paradiso che riflette la vita, non è tutto bello e tranquillo. Ci sono anche momenti di pesantezza, fatica, nausea, stress. Ci sono però momenti di soddisfazione, di calma, di osservazione, di compenetrazione e sintonia con fauna e flora. E ci sono fasi in cui si ricostruisce quello che si è fatto giorni prima oppure si disfa soltanto. E’ un continuo costruire e ricostruire, piantare e ripiantare. Superata la soglia del “chi me lo fa fare” o del “basta così per oggi”, si riparte ancora, e poi ancora.

Perché ci tengo anch’io ad abbellire, nei limiti delle possibilità, il mio paradiso.

Ed è per questo che la metafora del giardino, piccolo o grande che sia, funziona. Infatti per me è un aggancio, un punto di appoggio, un richiamo.

Fare giardinaggio a casa mia significa fare ordine, spostare le cose fuori posto, togliere le erbacce in quanto superflue o dannose, concimare e irrigare, altrimenti alcune componenti soffrono e potrebbero venire meno.

Questa è una mia visione presente già da qualche anno.

Se in passato mi era diventato prevalentemente un peso, oggi posso dire che rappresenta un buon obiettivo in quanto mi ricorda continuamente l’importanza di ciò che può significare.

Per me il giardino (è uno dei significati della parola paradiso) simboleggia la mia famiglia.

Anch’essa è un giardino che può essere piccolo o grande, ma va in ogni caso curato attentamente perché ci sono sempre intralci (erbacce) e nuovi bisogni (di acqua o elementi nutritivi).

Sono le relazioni, in generale, che vanno alimentate e nutrite, in una parola, curate assiduamente.

Ma le relazioni familiari hanno un valore speciale sia guardando indietro sia nel momento presente.

Un personaggio pubblico importante vissuto in epoca romana (2), disse che se possedete una biblioteca e un giardino, avete tutto ciò che vi serve. Questa visione riflette la mia vita, i miei pensieri e i miei desideri. Lettura e giardinaggio sono per me un terreno comune di grande sfogo e ricarica, di ricerca e rinascita. In particolare leggere, in fondo, non vuol dire altro che creare un piccolo giardino all’interno della nostra memoria. Ogni bel libro porta qualche elemento, un’aiuola, un viale, una panchina sulla quale riposarsi quando si è stanchi. Anno dopo anno, lettura dopo lettura, il giardino si trasforma in parco e, in questo parco, può capitare di trovarci qualcun altro. (3)

Concludo questo pezzo con un altro testo d’autore (4) che mi aiuta a dare rilievo al mio amore per il giardinaggio: … gli uomini si dividono in quelli che costruiscono e quelli che piantano. I costruttori concludono il loro lavoro e, presto o tardi, sono colti dalla noia. Quelli che piantano sono soggetti a piogge o tempeste, ma il giardino non cesserà mai di crescere.

.

Citazione: frasi di Alfred Austen

Immagini: garden by Pixabay

Note: (1) da Appunti per un diario durante la pandemia di Gianni Faccin, Ed Gedi 2021 – (2) Detto di Marco Tullio Cicerone – (3) citazione di Susanna Tamaro – (4) frase di Paulo Coelho

Giardino