Papaver

Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi.

Detto rhoeas, noto come papavero comune o rosolaccio … Strano e al contempo stupendo fiore il papavero.

Da tutti ammirato, ma non sempre abbastanza apprezzato, a mio avviso. Se ne parla spesso per gli usi derivati che, al di là delle facili battute, ci sono e sono importanti. Infatti, il papavero rosso contiene ingredienti utili all’uomo, anche se i meccanismi alla base dei suoi presunti benefici non sono ben noti. Ciononostante questo fiore rappresenta nella realtà un rimedio naturale che viene proposto per trattare diversi problemi di salute, da quelli respiratori al dolore, alla tosse e ai disturbi del sonno.

Ma il papavero, oggi, è oggetto di citazioni perché ha un valore molto importante a livello simbolico, checché se ne dica e pensi.

In occidente, dicono le enciclopedie, il papavero è spesso associato alla pace, al sonno e alla morte. Questo legame deriva in parte dalla mitologia greca, dove il papavero era sacro a Demetra, la dea dell’agricoltura e dei raccolti, e a Hypnos, il dio del sonno. Il papavero era anche un simbolo di Morfeo, il dio dei sogni.

Andando oltre le culture tradizionali, e venendo all’oggi, a cui arriviamo grazie all’ieri, il papavero è divenuto da una certa data sempre più simbolo di pace.

E Dio sa se ce n’è bisogno …

Perfino una rivista come VanityFair celebra il papavero e la realtà dettata dal memoriale.

Ecco quanto scrive proprio qualche giorno fa.

Il papavero è diventato negli anni a seguire il simbolo della Resistenza e del sacrificio di migliaia di partigiani e partigiane in Italia. Così il 25 aprile lo ritroviamo ovunque, nelle piazze e nei cortei, nei cartelloni e nelle immagini che festeggiano il giorno della Liberazione d’Italia dal nazifascismo. 25 aprile giorno di festa e ricordo. Data simbolo perché nel 1945 ha inizio in quelle ore la ritirata da parte dei soldati della Germania nazista e di quelli fascisti della repubblica di Salò dalle città di Torino e di Milano. Il papavero che cresce libero e forte, senza bisogno di niente, anche in mezzo al cemento lungo i marciapiedi e tra i binari roventi dei treni. È infestante, come il desiderio di libertà e amore. Di rispetto dei diritti e salvaguardia della memoria. È infestante come dovrebbe esserlo la pace. Ogni giorno e in ogni parte del mondo.

Ecco, appunto. Ogni giorno!

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Memoria

Citazione: da La guerra di Piero, canzone di Fabrizio De André (1966, Tutto Fabrizio De André)

Immagine in evidenza e brano nel testo: da VanityFair del 25 aprile 2024, 25 aprile: perché il papavero è il fiore della Resistenza? articolo di Alessia Arcolacci

Immagine di chiusura: Flowers di Manfred Nimbs by Pixabay

Riferimenti nel testo: Wikipedia


Luce che ci dà vita

Abbiamo assolutamente bisogno di luce …

Stiamo vivendo tempi complicati, difficili, in cui tutti noi tendiamo a vedere nero, buio e null’altro. Anche se spesso il tutto è ottenebrato, come nascosto e reso non presente, da eventi inimmaginabili oppure da azioni umane che neanche gli animali avrebbero il coraggio di pianificare.

C’è assolutamente bisogno di luce, quella luce che c’è comunque, al di là di ogni nostro misfatto, che come il sole è presente anche sopra le nuvole, allorquando noi vediamo il cielo oscurato e percepiamo l’assenza dei suoi raggi, quasi che non fosse più presente, che non determinasse più l’inizio e la fine di ogni giorno.

Invece la luce c’è ed occorre crederci ancora di più a questa luce, cercarla e impegnarsi ad afferrarla perché solo in questo modo potremo dare un senso ad ogni evento.

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Citazione: by GiFa

Immagine: Luce di vita by AnCa2023

Testo: GiFa2023

Versi: 6e38 tratto da Versi librati di Gianni Faccin 2023 ( Gedi – in fase di pubblicazione)


Chi ha piantato questo chiodo?

Il “chiodo”, nel linguaggio familiare, indica sempre qualcosa di doloroso e fastidioso: un cruccio, una preoccupazione, un’ossessione amorosa; ma anche, in maniera scherzosa, un debito …

Rimanendo in tema di “chiodi” (con riferimento al pezzo precedente), qualcuno li definisce il simbolo dell’asse cosmico (*). Raffigurano il destino, la necessità. Come diversi simboli del “legame”, ricordiamo la corda, le manette, i nodi, i ceppi, i lacci, i fili, ecc. Quindi il chiodo rappresenterebbe un intrappolamento. Altri affidano ai chiodi un significato che va molto oltre (**). A livello simbolico i chiodi, per il fatto di essere appuntiti, rappresentano e sono in grado di richiamare gli spiriti e le forze oscure che possono rivelarsi negative. Ma i chiodi hanno anche un’altra funzione: quella di fissare. E per questo assumono anche una valenza positiva in determinate circostanze. Varie sono poi le superstizioni sui chiodi che si sono diffuse dall’antichità ad oggi. Si dice per esempio che chi trova un chiodo farebbe bene a raccoglierlo onde evitare disgrazie. Infatti trovare un chiodo è considerato un segno di fortuna. Il chiodo ritrovato andrebbe assolutamente conservato tenendolo a portata di mano. In alternativa si può fissarlo alla porta d’entrata. In epoca medievale si pensava che mettere un chiodo sulla porta potesse servire a tenere lontani i fantasmi, le forze negative e gli animali feroci. Credenze dal valore diverso che trasformano un oggetto di uso comune in un elemento dai molteplici significati.

E nella Bibbia? Faccio un solo richiamo, perché ci sarebbe molto da scrivere. Dice il teologo (***): “L’idea di un chiodo ci trasporta nell’ambito di materiali che si uniscono per mezzo di un cuneo, ci parlano di un legame consistente e fermo reso possibile da una trasformazione, un prodotto con caratteristiche diverse dalle sostanze utilizzate, sovente con funzioni differenti o molteplici. Nel campo spirituale sono quei punti inseriti come macigni nella mente dell’uomo, che ne condizionano il pensiero e l’agire. Ecco perché abbiamo sempre bisogno di verificare alla luce della Bibbia, quale sia in noi lo stato della mente di Gesù Cristo …”.

Fin qui tutto bene. O quasi.

E nell’arte? Che ruolo e che senso potrebbe avere un chiodo?

Non è semplice. E resta il fatto, che ad una domanda chiave non sono ancora riuscito a dare una risposta. E forse non ci riuscirò mai.

Tutto nasce da una circostanza vissuta all’estero circa quindici anni fa. Ci penso spesso, ma pur avendo ben presente situazione, persone, stato d’animo e fisico, emozioni, pensieri e altro, non sono ancora arrivato a capire. O forse sì?

Immaginiamo di trovarci in una grande città europea, una capitale. Di visitarne un importante museo in cui sono esposte opere d’arte di grande rilievo storico e moderno. Di apprezzare vari artisti e varie opere famose, ma anche quelle poco conosciute. Di trovarsi improvvisamente dinnanzi ad un quadro di interessanti dimensioni, senza cornice, solo delineato ai bordi di un verde salvia e completamente dipinto di bianco – tipo parete bianca – con al centro un chiodo ben piantato ma inserito parzialmente. Un chiodo non subito visibile, ma successivamente ben visibile ad un occhio calmo e attento. Immaginiamo lo stupore e il senso di disorientamento per un’opera che nell’immediato si percepisce anonima, semplificata, resa sicuramente essenziale, ma indecifrabile. Un disorientamento che a gradi si trasforma, si scatena e diventa dapprima una specie di angoscia e poi uno sfogo di riso misto a pianto … Questo, proprio nel momento in cui si legge prima una domanda posta nell’angolo alto a sinistra (punto di vista dell’osservatore): Chi ha piantato questo chiodo? – e poi una riposta posizionata nell’angolo alto a destra: Io non lo so. – ed è impossibile rimanere impassibili.

L’opera è del 1972 (****), autore un russo, divenuto statunitense, deceduto proprio quest’anno. Dicono trattarsi di art-pop influenzata da neodadaismo piuttosto che da un nuovo realismo.

Approfondendo quest’opera e altri lavori dell’artista, ho notato come la sua regola fosse non dare importanza all’oggetto rappresentato (il chiodo, nel quadro in questione), ma invece a tutto lo spazio circostante (il bianco, nel caso). Uno spazio vergine che apre a nuovi, diversi ed imprevedibili scenari. Il rischio è quello di concentrarsi sul chiodo, del perché sia lì e in quello stato, e di voler scoprire chi l’abbia “piantato”. Curiosità? Gioco di percezioni? Di luci e ombre? Di colori? Sicuramente, meglio aprirsi a nuovi punti di vista, distogliendo l’attenzione dalle facili e comode apparenze. In questo caso distogliendo l’attenzione da un chiodo che sembrerebbe tanto sperduto in un deserto bianco, quanto ingombrante, inutile e al contempo intrigante.

Come che sia, anch’io, come credo lo stesso autore, non ho trovato ancora una risposta alla domanda, ma forse sono altre le domande a cui cercare di dare risposta.

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Citazione: by Accademia della Crusca

Immagine in evidenza: Nail by Pixabay

Note:

(*) Da Axis Mundi by Wikipedia;

(**) Il significato del chiodo nella tradizione popolare by rivelazioni.com/

(***) Un chiodo: simbolico, di ferro o spirituale di Ferruccio Iebole by lamostradellabibbia.com/

(****) Qui a planté ce clou? Je ne sais pas – 1972 Ilya Iossifovich Kabakov (Opera esposta a Parigi presso il Centre Pompidou – descrizione completa: Olga Petrovna Panina: Qui a planté ce clou? – Yanna Borisovna Koshkina: Je ne sais pas)

Post Scriptum:

Consigliabile visitare il sito https://www.centrepompidou.fr/fr/ressources/oeuvre/cj74zgd