Ricorda l’indifferenza uccide! Perciò avvicinati a chi è nel bisogno rialza chi è caduto e carezza il volto di chi piange cerca di essere voce per chi non ha voce allevia la sofferenza che incontri non partecipare all’omicidio consumato da quelli che sono gli indifferenti.
Un noto brano musicale ripeteva: “Nel 2000 io non so se vivrò ma il mondo cambierà il sole scenderà su di noi / Nel 2023, 23 Se il mio cuore batterà non lo so ma troverà qualcosa che lo farà batter più di te …
Di recente ha scritto al riguardo Fabiano Minacci:“Il testo era di Daniele Pace, accennando al misterioso futuro che incombeva, aggiungendo la frase “Nel 2023 l’uomo avrà smesso di lavorare” (ci andò vicino). Il brano era americano, cantato da Zager & Evans e in origine si chiamava “In The Year 2525”. Rick Evans la scrisse nel 1964, rimase chiusa in un cassetto fino al 1968. Il duo la incise all’inizio di giugno, entrò al n. 95 in America e il 12 luglio era al n. 1, grazie alle radio texane che la programmarono a rotta di collo, scalzando dal podio Elvis Presley, i Beatles e Stevie Wonder. Roba da non credere …”. In ogni caso il blogger afferma: “La canzone di Dalida Nel 2023 è una delle più catastrofiche di tutti i tempi”.
Anch’io come Minacci considero quel brano fra i più tendenzialmente catastrofici di sempre anche se in tal caso ci sono previsioni azzeccate e non. Del resto è sempre così, quando ci fanno previsioni generalizzate a lunga gittata, in parte, ci si azzecca sempre.
Come che sia, ci fu un tempo anche per me in cui pensavo al futuro come a qualcosa di migliorativo, di crescita per tutti, di evoluzione collettiva. Non soltanto di miglioramento personale, che, francamente, vedevo come cosa più complicata.
È stato così? Che c’entra la canzone richiamata?
È indubbio che il mondo, in questi circa 60 anni, sia migliorato sotto vari aspetti e abbia avuto varie fasi di progresso economico, culturale e sociale, e al contempo vari punti di crisi. Mi è difficile dare una misurazione di tali miglioramenti. Forse mi verrebbe più facile valutare le crisi, sempre più frequenti, spesso evidenziate da scosse di terremoto – anche violente – di tipo finanziario, politico, economico e sociale. Di recente anche di tipo sanitario (pandemia), non dimenticando i disastri ecologici puntualmente evocati, registrati, commentati e poi archiviati; e di tipo bellico (importante guerra in territorio europeo), non dimenticando l’intolleranza dialogica ormai persistente anche nelle sale politiche internazionali considerate democratiche.
Mi chiedo se a fronte di importanti avanzamenti (scambi multiculturali, discussione sui diritti umani, progresso tecnologico e sviluppo della ricerca, diffusione della conoscenza, opportunità della rete, per dirne solo alcuni) che sono sotto gli occhi di tutti non ci sia un imbarbarimento generalizzato che sta prendendo piede con forza. Sta dilagando.
Circa la pandemia: temo che stia diventando un brutto ricordo; parleremo di prevenzione e cautele non appena (speriamo di no) ne arriverà una di nuova. L’aviaria in essere non è una favola.
Circa la guerra: d’accordo ci sono decine di guerre nel mondo, da decenni e stanno aumentando; in Europa un conflitto così importante non era immaginato da nessuno; ci siamo abituati agli aggiornamenti sul conflitto, e anche alle statistiche sui morti e basta.
Circa gli immigrati: questa catastrofe è senza fine; l’indifferenza generale nasce da lontano, ma ultimamente è divenuta quasi un imperativo. Muoiono sotto gli occhi delle telecamere, quindi sotto i nostri occhi, “persone” che scappano da situazioni di profonda sofferenza e che se decidono di partire, pagando e rischiando, preferiscono questo ai soprusi in atto da parte dei loro conterranei. Quando poi sono bambini che vengono sacrificati rimanere indifferenti significa ancor di più complicità criminale.
Il fatto è che anziché unire le forze per trovare soluzioni adeguate, ci si dedica alla ricerca delle colpe e dei colpevoli dichiarando di avere la “coscienza a posto”. Questo atteggiamento sempre più praticato a tutti i livelli si basa su di una piattaforma che è alimentata dall’indifferenza: succedono certe cose ma non le voglio vedere, non mi riguardano oppure non mi conviene interessarmene, non è di mia competenza. Siamo passati dal lavarsi le mani (come Pilato – nda) di fronte ad un evento irrilevante all’arte di scaricare le responsabilità sugli altri di fronte ai peggiori crimini umani.
Tornando al brano musicale, che è uno spunto per uscire dalle usuali ovvietà, canzone proposta in Italia nel 1968/69, trovo che le cose non siano andate tutte male, anzi. Ci sono però anche segnali importanti di regresso. Che fanno pensare al peggio. Per esempio la vera catastrofe oggi, nel 2023, è evidente ed è quella dell’indifferenza diffusa. In tutti gli ambiti citati. Più che prevedere cosa accadrà occorre non essere indifferenti nelle situazioni in cui siamo immersi. Ed è vero: l’indifferenza uccide, come nella citazione.
Certo ci sono cose che possiamo fare ed altre che sono più difficili da realizzare.
Personalmente penso sia importante innanzitutto concentrarsi sulle prime.
Quali sono le cose che possiamo fare?
Anche su questo, sono convinto che possiamo ognuno di noi dare una risposta. Cominciando ad essere attenti. Poi impegnandosi ad essere consapevoli e a stare nel presente mettendo a disposizione le nostre capacità, senza esagerare, facendo la nostra parte.
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Citazione: L’indifferenza uccide! di Enzo Bianchi – Twitter
Immagine: Ragazzo del Togo in maglietta rossa – Giovanna Boteri su Facebook
Riferimenti nel testo: Nel 2023, brano proposto in Italia da Dalida e da Caterina Caselli – blog Biccy.it /F. Minacci