Sette giorni insieme

Settimana di stacco

Non sono pochi sette giorni, eppur son volati via …
Eravamo nella nostra casetta vicinissima al Trasimeno, tutta in uno con il minuscolo centro cittadino, dal quale si poteva intravvedere il lago con due delle sue isolette verdi che sembravano galleggiare su di un calmissimo specchio ora verde ora azzurro.

Abbiamo lasciato ogni mattina la nostra casetta e la sua piazzetta per prendere confidenza con il lago e i suoi magici riflessi.
Abbiamo fatto lunghe passeggiate e alla sera siamo sempre tornati stanchi ma contenti, già desiderosi di prepararci per il giorno successivo.

La casetta è diventata un rifugio ove trovare riposo.

Tornare è stato sempre un sollievo ed abitare in questa casetta un sogno. Siamo stati molto bene e ci è parso di essere veramente “a casa nostra”, tranquilli, rilassati e al sicuro.

C’è un vecchio pezzo dell’epoca dei cantautori che mi torna sempre in mente in certe occasioni come quelle che si vivono in vacanza. Non so perché. So soltanto che mi vengono automaticamente in mente note e parole. E a quel punto mi chiedo: che c’entra questa canzone con quanto sto vivendo?

Forse questa canzone è una di quelle che mi hanno sempre accompagnato nella realizzazione di alcuni miei desideri … È una canzone del duo Loy & Altomare, “Quattro giorni insieme” (1974) che dice tra l’altro: … non ci annoiavamo mai. Sempre uniti insieme noi ci amavamo allegramente ed alla fine di ogni volta ci piacevamo un po’ di più. … C’era in ogni tua espressione quell’entusiasmo che tira su. … Stavi infondendomi la voglia di prender tutto come viene e di non chiedersi mai perché. Quattro giorni insieme senza mai avere dei contrasti senza un minuto di stanchezza contenti solo di star così.

Ecco, questi sette giorni sono stati proprio così. Quindi, da ripetere ben presto …

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Immagini: in evidenza Particolare portale casa a Tuoro (Reginetta), foto AnCa2023; in galleria Trasimeno da sopra, foto AnCa2023 – Giallo dal traghetto, foto GiFa2023 – Isola dall’isola, foto GiFa2023 – Riflessi, foto Gifa2023 – Galleggiante, foto Gifa2023

Riferimenti nel testo: brani dalla canzone Quattro giorni insieme di Loy & Altomare tratti dall’LP Chiaro del 1974


Coraggioso

Vorrei esserlo stato nell’esprimere i miei sentimenti … e nel vivere una vita fedele ai miei principi e non quella suggerita dagli altri … [seguito di Rimpiangere]

È stato scritto che il coraggio è la forza d’animo che permette di affrontare situazioni difficili mantenendo comunque i principi e i comportamenti educati e civili. Il coraggio è quindi una caratteristica positiva, poiché ci aiuta a prendere decisioni difficili e ci spinge fuori dalla nostra zona comfort.

Ho preso per buona questa definizione, e, facendolo, vi ci ho trovato due approcci distinti e un utile collegamento da attivare.

Nel caso della forza d’animo ci ho visto il riuscire a far fronte ad una delle più importanti emozioni ovvero la paura. Si tratta di non scappare, atteggiamento più comodo, ma di saper gestire il disagio che questa emozione provoca. Essere fermi, affrontare le difficoltà create dal pericolo o dal rischio. È evidente che questa forza va costruita situazione per situazione, momento per momento. Non arriva in automatico. Tale forza va in controtendenza umana, ecco il secondo approccio, in quanto se la valorizziamo, se le permettiamo di usare lo spazio che le serve ci porta ad essere attivi e a non subire le situazioni. Diversamente, ed è profondamente umano,  saremo sempre tentati, di massima, a scappare dai disagi e a rintanarci o, come si dice dalla pandemia, a divanarci. In tal caso anche per qualcosa di diverso che è la paura dello sforzo fisico o mentale.  Talvolta soprattutto immaginari.

Un utile collegamento riguarda il mantenere i principi e i comportamenti educati e civili. Infatti il collegamento che, a mio avviso, va fatto con la suddetta forza d’animo è dato dalla nota assertività, ossia la capacità di farsi valere nell’esporre i propri punti di vista senza essere prevaricati, ma anche nel rispetto dei punti di vista altrui. Ho toccato con mano come spesso portare avanti il proprio punto di vista equivalga assolutamente a svalutare la posizione dell’altro e quindi l’altro stesso. Quasi non ci fossero che due opzioni io vinco e tu perdi e viceversa.

Una giornalista ha scritto che uno dei peggiori mali del nostro tempo è l’incapacità di esprimere i propri sentimenti alle persone. E’ la paura di aprirsi e di essere sinceri e questa paura è dovuta al dolore che può derivare dall’essere autentici, anche se fosse solo imbarazzo. Quante persone non si rivolgono la parola per non essere nell’imbarazzo? Invece da bambini eravamo forse degli alieni perché eravamo sinceri, puri, trasparenti e diretti. Oggi siamo separati gli uni dagli altri perché forse abbiamo perso per strada delle vere e proprie virtù.

Da parte mia ho nostalgia di quelle virtù, e credo di non essere il solo. Senz’altro ho anche io i miei “vorrei …”. Infatti, e ci penso spesso, vorrei avere avuto il coraggio di esprimere i miei sentimenti, il mio sentire, vorrei non aver ceduto alla paura di ricevere dei rifiuti, dei rimproveri, dei giudizi negativi, degli abbandoni. Vorrei non aver ceduto alla paura di dire dei “no”, magari motivandoli, ma dei “no” fermi che, superato l’iniziale imbarazzo o disagio, mi avrebbero fatto sentire realizzato e ovviamente soddisfatto.

Ci sono i “no” che riguardano le richieste di terze persone, ma garantisco che quelli più difficili, alla fine, sono i “no” da dire al mio giudice interiore per fare pace con il bambino.

Se poi guardiamo al diretto rapporto con i principi personali, vediamo quanto sia facile deragliare dai propri riferimenti. Del resto il mondo in cui tutti viviamo è fatto essenzialmente di apparenze e giudizi. Il comune vivere è caratterizzato dalla realizzazione di ciò che qualcuno si aspetta da noi o che pensiamo si aspetti da noi. Quindi diventa facile, con questo stile di vita, rinnegare i propri principi personali, per quanto siano sacrosanti.

Da questa situazione possiamo derivare sicuramente grande dispiacere, in seguito alla consapevolezza di aver compiuto degli errori anche gravi e di aver potuto evitarli inibendone ogni conseguenza.

Ho potuto notare che con il tempo che passa ogni cosa assume un peso diverso. Quello che prima mi pareva prioritario, diventa secondario e ciò che davo per scontato o che sospendevo diventa prioritario o di primaria importanza.

È chiaro, mi sarebbe piaciuto comprenderlo prima …

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Citazione: da https://abitandoladistanza.com/2023/03/21/rimpiangere/

Immagine: Old woman e Legs by Pixabay

Riferimenti nel testo: Coraggio da cescoproject.org e I peggiori mali del nostro secolo by Carmen Laval


Rimpiangere?

La vita è qui da vivere e non da rimpiangere …

Rimpianto ha che fare con il ricordo. Infatti è il ricordo nostalgico e dolente di persone o cose perdute, o di occasioni mancate. Deriva dal verbo rimpiangere che significa rammentare una persona o una cosa con desiderio e nostalgia, ma insieme con la consapevolezza – spesso dolente – di non poterla avere più perché perduta o scomparsa, trascorsa o irrecuperabile. Fin qui le definizioni. Mi capita spesso di sentirne parlare dalle persone che incontro.

Ho però la sensazione che ci sia confusione tra rimpianti e rimorsi. Questi ultimi sono tutt’altro. I rimorsi sono i turbamenti che sgorgano da un errore compiuto nel passato recente o remoto, da qualcosa che si è fatto e che ha portato infelicità o dolore a noi o ad altri. Da qualcosa che si vorrebbe non aver mai fatto. Un’azione che, secondo l’etimologia, ci rimorde, che azzanna la nostra coscienza ogni volta che ci ripassa sopra, una consapevolezza tormentosa. Questo fa distinguere appunto i rimpianti che nascono da ciò che è andato perduto …

Sento anche dire: non voglio avere rimpianti! Desidero vivere senza rimpianti! Ecco, credo sia assai difficile che si realizzi una vita senza rimpianti, e lo stesso senza rimorsi. A chi non capita di perdere qualcuno e qualcosa a cui, tornando indietro, avrebbe voluto aver dedicato più tempo e più cura? E a chi non capita di aver sbagliato e, tornando indietro, non avrebbe averlo fatto? Ci sono domande che ci inseguono e talvolta ci mettono in crisi. Anche nel lungo termine. Credo che i veri rimpianti, quelli che contano veramente, possano presentarsi a noi nei momenti difficili o nei momenti più delicati nella nostra esistenza. Pensiamo a chi è in punto di morte ed è presente (cosciente) alla sua fase esistenziale. Bronnie Ware ne ha scritto in un noto libro in cui descrive i cinque rimpianti più grandi delle persone che stanno morendo. L’autrice ha lavorato come assistente ai malati terminali.

E prendiamo in visione questi “rimpianti”:

  • Vorrei essere stato coraggioso nell’esprimere i miei sentimenti;
  • Vorrei essere rimasto in contatto con gli amici;
  • Vorrei essere stato fedele ai miei principi e meno alle aspettative altrui;
  • Vorrei non essermi dedicato troppo al lavoro;
  • Vorrei essermi dato il permesso di essere felice.

C’é un verbo in comune in tutti i cinque rimpianti: “vorrei” … È un verbo condizionale. Significa che quello che volevo (o voglio) non si è potuto realizzare (non può realizzarsi) perché sono mancate (mancano) delle condizioni personali o contestuali. Ed è questo vorrei che da un lato pone un limite all’apparenza invalicabile, e dall’altro fa esplodere rimpianti, spesso a scoppio ritardato.

Come che sia, prendendo in carico a ritroso i rimpianti suddetti aggiungerò le riflessioni personali nei pezzi di questo blog che seguiranno.

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Citazione: da Frasi di Max Pezzali

Immagine: Train by Pixabay

Riassunto: by Carlo Emilio Gadda

Riferimenti nel testo: definizioni da Treccani.it – Fanpage.it – Meglio.it – Carmen Laval

Riferimenti libro: da Vorrei averlo fatto – I cinque rimpianti più grandi di chi sta per morire di Bronnie Ware – 2012 Ed. MyLife


… E l’indifferenza uccide!

Ricorda l’indifferenza uccide! Perciò avvicinati a chi è nel bisogno rialza chi è caduto e carezza il volto di chi piange cerca di essere voce per chi non ha voce allevia la sofferenza che incontri non partecipare all’omicidio consumato da quelli che sono gli indifferenti.

Un noto brano musicale ripeteva: “Nel 2000 io non so se vivrò ma il mondo cambierà il sole scenderà su di noi / Nel 2023, 23 Se il mio cuore batterà non lo so ma troverà qualcosa che lo farà batter più di te …

Di recente ha scritto al riguardo Fabiano Minacci:“Il testo era di Daniele Pace, accennando al misterioso futuro che incombeva, aggiungendo la frase “Nel 2023 l’uomo avrà smesso di lavorare” (ci andò vicino). Il brano era americano, cantato da Zager & Evans e in origine si chiamava “In The Year 2525”. Rick Evans la scrisse nel 1964, rimase chiusa in un cassetto fino al 1968. Il duo la incise all’inizio di giugno, entrò al n. 95 in America e il 12 luglio era al n. 1, grazie alle radio texane che la programmarono a rotta di collo, scalzando dal podio Elvis Presley, i Beatles e Stevie Wonder. Roba da non credere …”. In ogni caso il blogger afferma: “La canzone di Dalida Nel 2023 è una delle più catastrofiche di tutti i tempi”.

Anch’io come Minacci considero quel brano fra i più tendenzialmente catastrofici di sempre anche se in tal caso ci sono previsioni azzeccate e non. Del resto è sempre così, quando ci fanno previsioni generalizzate a lunga gittata, in parte, ci si azzecca sempre.

Come che sia, ci fu un tempo anche per me in cui pensavo al futuro come a qualcosa di migliorativo, di crescita per tutti, di evoluzione collettiva. Non soltanto di miglioramento personale, che, francamente, vedevo come cosa più complicata.

È stato così? Che c’entra la canzone richiamata?

È indubbio che il mondo, in questi circa 60 anni, sia migliorato sotto vari aspetti e abbia avuto varie fasi di progresso economico, culturale e sociale, e al contempo vari punti di crisi. Mi è difficile dare una misurazione di tali miglioramenti. Forse mi verrebbe più facile valutare le crisi, sempre più frequenti, spesso evidenziate da scosse di terremoto – anche violente – di tipo finanziario, politico, economico e sociale. Di recente anche di tipo sanitario (pandemia), non dimenticando i disastri ecologici puntualmente evocati, registrati, commentati e poi archiviati; e di tipo bellico (importante guerra in territorio europeo), non dimenticando l’intolleranza dialogica ormai persistente anche nelle sale politiche internazionali considerate democratiche.

Mi chiedo se a fronte di importanti avanzamenti (scambi multiculturali, discussione sui diritti umani, progresso tecnologico e sviluppo della ricerca, diffusione della conoscenza, opportunità della rete, per dirne solo alcuni) che sono sotto gli occhi di tutti non ci sia un imbarbarimento generalizzato che sta prendendo piede con forza. Sta dilagando.

Circa la pandemia: temo che stia diventando un brutto ricordo; parleremo di prevenzione e cautele non appena (speriamo di no) ne arriverà una di nuova. L’aviaria in essere non è una favola.

Circa la guerra: d’accordo ci sono decine di guerre nel mondo, da decenni e stanno aumentando; in Europa un conflitto così importante non era immaginato da nessuno; ci siamo abituati agli aggiornamenti sul conflitto, e anche alle statistiche sui morti e basta.

Circa gli immigrati: questa catastrofe è senza fine; l’indifferenza generale nasce da lontano, ma ultimamente è divenuta quasi un imperativo. Muoiono sotto gli occhi delle telecamere, quindi sotto i nostri occhi, “persone” che scappano da situazioni di profonda sofferenza e che se decidono di partire, pagando e rischiando, preferiscono questo ai soprusi in atto da parte dei loro conterranei. Quando poi sono bambini che vengono sacrificati rimanere indifferenti significa ancor di più complicità criminale.

Il fatto è che anziché unire le forze per trovare soluzioni adeguate, ci si dedica alla ricerca delle colpe e dei colpevoli dichiarando di avere la “coscienza a posto”. Questo atteggiamento sempre più praticato a tutti i livelli si basa su di una piattaforma che è alimentata dall’indifferenza: succedono certe cose ma non le voglio vedere, non mi riguardano oppure non mi conviene interessarmene, non è di mia competenza. Siamo passati dal lavarsi le mani (come Pilato – nda) di fronte ad un evento irrilevante all’arte di scaricare le responsabilità sugli altri di fronte ai peggiori crimini umani.

Tornando al brano musicale, che è uno spunto per uscire dalle usuali ovvietà, canzone proposta in Italia nel 1968/69, trovo che le cose non siano andate tutte male, anzi. Ci sono però anche segnali importanti di regresso. Che fanno pensare al peggio. Per esempio la vera catastrofe oggi, nel 2023, è evidente ed è quella dell’indifferenza diffusa. In tutti gli ambiti citati. Più che prevedere cosa accadrà occorre non essere indifferenti nelle situazioni in cui siamo immersi. Ed è vero: l’indifferenza uccide, come nella citazione.

Certo ci sono cose che possiamo fare ed altre che sono più difficili da realizzare.

Personalmente penso sia importante innanzitutto concentrarsi sulle prime.

Quali sono le cose che possiamo fare?

Anche su questo, sono convinto che possiamo ognuno di noi dare una risposta. Cominciando ad essere attenti. Poi impegnandosi ad essere consapevoli e a stare nel presente mettendo a disposizione le nostre capacità, senza esagerare, facendo la nostra parte.

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Citazione: L’indifferenza uccide! di Enzo Bianchi – Twitter

Immagine: Ragazzo del Togo in maglietta rossa – Giovanna Boteri su Facebook

Riferimenti nel testo: Nel 2023, brano proposto in Italia da Dalida e da Caterina Caselli – blog Biccy.it /F. Minacci


Nebbia

La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale …, ma … Respirano lievi gli altissimi abeti racchiusi …

Impressioni del mio Gennaio (II)

Cos’è la nebbia in fin dei conti?

Nebbia è una parola che usiamo spesso per dire che qualcosa non va per il verso giusto o desiderato.

Oh! Mio Dio! C’é nebbia, e adesso?, quale espressione di un senso di impotenza. Con questa nebbia meglio starsene in casa!, quale espressione di rassegnazione. Oppure nel nostro parlare: Siamo nella nebbia più assoluta, per dire che siamo nella confusione e non sappiamo da che parte andare; siamo annebbiati, ossia confusi, disorientati; ho nebbia davanti a me, per dire che sono nell’estrema incertezza, tale che non vedo nulla se non la nebbia.

Parola assai significativa, molto usata, di sicuro non è attraente o simpatica. Chi per lavoro attraversa zone tipicamente nebbiose la odia senza dubbio.

Ma la nebbia è un fenomeno naturale. Come si sa, si forma attraverso una concentrazione di infinite piccole gocce d’acqua, che si creano vicino al terreno, ma anche sopra il mare o gli specchi d’acqua e lungo i corsi provocando una graduale diminuzione della visibilità. E spesso incidenti.

Un ammasso informe di vapore che si muove lentamente oppure pare stabilirsi in un determinato luogo senza dare idea di volersene andare. Ci sentiamo avvolti fin dentro le ossa. Immersi in una gigantesca bolla che quasi ci toglie il respiro.

Ebbene, quasi sempre possiamo essere noi a muoverci e ad uscire da questo ammasso indistinto.

Quante volte ci perdiamo in esso e ci lamentiamo per la situazione che viviamo. E ci impegniamo molto a farlo. Quando in realtà basta poco per cambiare tutto.

Dico che è un po’ come andare in montagna.

Fintanto che rimango sulle mie, resto fermo nella mia area confortevole, vedo la nebbia che mi dà fastidio e mi disturba, ma non mi attivo per cambiare e trovare di meglio, continuerò a rosicare, a essere a disagio e aumenterò il senso di confusione e di incertezza … Non potrò stare meglio.

Se invece con coraggio mi attiverò avviandomi fuori dalle comodità superando ogni pigra giustificazione fatta di alibi e pretesti, spesso inventati, riuscirò a vedere con occhi nuovi e me ne rallegrerò.

Dopo una passeggiata nella nebbia, mettendoci impegno, forza di volontà, fatica, sacrificio, attenzione, si può salire in quota e superare quella che sembrava un cortina di grigiore impenetrabile. Soltanto allora si vedrà un cielo limpido, azzurro, con uno scenario illuminato da un sole che pareva non esserci più. La nebbia c’é ancora, ma è al di sotto, e sparisce ogni confusione ed ogni incertezza. Ci si accorge che bastava uno sforzo, quello di impegnarsi a cambiare punto di vista.

Si scopre così che è proprio vero: Ogni cosa, anche la più buia, può essere illuminata. Ogni cosa, ossia tutta la vita.

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Citazioni: miscela di versi da San Martino di Giosuè Carducci e da Gennaio di Rainer Maria Rilke

Citazione nel testo: da testi di Ludwig Monti

Immagine in evidenza: Panorama quasi nebbioso by GiFa2023

Immagine in chiusura: Nella nebbia passeggiando su M. Cimone by AnCa 2023


2023 speranze

Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più

E’ il tempo che passa, vola, viaggia in avanti senza guardare in faccia a nessuno.

Questo è.

E come succede per altri vissuti non si spiega, semplicemente è, e basta.

Rimane il dispiacere di non aver trascorso meglio quel tempo, di non aver avuto più coraggio, di non aver saputo scegliere.

Spesso siamo presi dal grande rumore di sottofondo e non prestiamo attenzione alla chiamata che ci viene rivolta, che ci sta innanzi. Come un pugno diretto in viso. Lui arriva, lo prendiamo, fa male, ma non lo vogliamo vedere.

Rimane il sapore amaro di non essere stati all’altezza delle situazioni, di non aver risposto a certe richieste, di non aver capito i segnali.

Rimane, anche come lontano ricordo, il disagio di essere stati d’impiccio se non addirittura offensivi. Di aver ferito.

E questo richiederebbe comprensione e il cosiddetto perdono. Rimane allora la speranza di un perdono.

Proprio di recente J. mi ha passato un biglietto che ha trovato casualmente lungo una strada. Un biglietto che le ha aperto gli occhi del cuore proprio parlando di perdono (erano i giorni dell’Avvento). Lo scritto, rovinato dalla pioggia, era ben chiaro e ancora una volta si rifaceva a un detto ben noto:

Dove c’è amore non c’è bisogno del perdono, perché quando ami, ami e basta”.

Amore? Ma quale amore?

Rimanendo su quanto riportato non può che essere un sentire che va oltre l’umano. Un sentire disinteressato, che ponendosi come centro della morale e della volontà, non può che divenire fonte di bene.

Pare difficile, ma ce la possiamo fare.

Ecco che si compongono le speranze che ci possono accompagnare nel tempo futuro.

Questo è, e basta.

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Citazione e riferimenti nel testo: attribuzione a S. Agostino

Immagine: Hope by Pixabay


Caduta

A cadere ci si riesce da soli, ma per rialzarsi
ci vogliono le mani di un amico
(Proverbio yiddish).

Oggi (nel giorno in cui ho scritto) sono caduto.

E’ capitato, come sempre in questi casi, inaspettatamente.

Sono scivolato e mi è sembrato di prendere il volo, dapprima all’indietro e poi per automatica reazione tutto in avanti, andando a battere sul pavimento bagnato e duro, molto duro.

Ritrovarsi a gambe all’aria (posizione opposta) e non fare a tempo ad accorgersi che sta succedendo proprio a te.

Anzi, lo dici a te stesso, che non te ne sei accorto, qualche istante dopo, se stai bene.

E per fortuna mi sono subito rialzato. Sano. Con l’aiuto di alcune braccia.

A me è capitato nel bel mezzo di un affollarsi di donne e con a fianco la mia compagna.

E tutte a informarsi, quasi maternamente con visi allarmati: Cosa è successo? Come stai? Riesci a camminare? Hai bisogno di qualcosa?

Poteva essere un infortunio grave, invece è stato soltanto qualche ammaccatura, alle viste riassorbibile.

Nell’immediato, lo scivolone non era ancora compiuto, ho pensato: che figura di emme! Subito dopo, istantaneamente: poteva andarmi peggio! E poi ancora: sono proprio distratto! Infine: certo che il pavimento era molto bagnato! Qualcuno avrebbe dovuto provvedere!

Ed ecco anche una battuta, non espressa: meglio distratto che distrutto (tipica mia autoironia).

Solo qualche minuto dopo ho realizzato: ero tanto sopra pensiero, non guardavo dove mettevo i piedi, in pratica già volavo di mio … Meno male che posso fare questi pensieri senza dover ricorrere ad un medico!

I segnali nella realtà arrivano sempre e sono decisamente squillanti quando non siamo connessi con noi stessi e con il mondo. Sta a noi accorgercene, a elaborarli e magari impegnarci di più nel vivere il cosiddetto qui e ora, quale che sia la cosa che stiamo facendo.

Sì, sono stato fortunato!

E sono grato.

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Immagine: Uomo che cade by Pixabay


1976

Mentre vivi il tempo adulto … non dimenticare mail il tempo del primo amore, quando il tuo cuore udì parole diverse ed eterne, gli occhi videro un altro sguardo. Perché non è bugia, è solo lontano.

Mi è capitato spesso di pensare agli anni della giovinezza con un certo stupore mischiato a curiosità. Come mi è capitato recentemente nel prendere in mano un vecchio portachiavi d’argento. Un ricordo importante che mi ha riportato ai miei 19 anni.

Distanza non distanza.

Era d’estate, di quelle normali, caldo, ma non devastante. I vestiti un po’ bagnati di sudore, ma non per il caldo. Il motivo era ben altro. Era il giorno del mio compleanno e un gruppo di amici mi festeggiava con ardore e grande affetto, seppur con un certo rispetto, perché conoscevano la mia timidezza ben visibile, ben evidente. E io sapevo di questa loro cautela come sapevo che li amavo e che mi amavano.

Il mio sudare dipendeva dalle emozioni che provavo e che son felice di aver provato e un po’ riconosciuto.

Oggi dire 1976, l’anno in questione, è un po’ come quando in quei tempi si diceva 2023, un anno che sapeva di universale, lontanissino, di altri pianeti, di esplorazioni spaziali. Insomma dire oggi 1976 mi pare di essere un pochino fuori dal mondo. Eppure è lì, per quanto lontano.

Se ripenso a quell’anno, ai miei 19, e riprendo in mano il vecchio, ma ancora lucido, portachiavi rivedo anche uno sguardo dolce, attento, uno sguardo tenero e al contempo di attesa. E’ da quello sguardo e dagli sguardi che precedettero quel momento e che inevitabilmente lo seguirono, che oggi posso dire di vivere un tempo adulto sì, ma un tempo che pur lontano è vicino. Indimenticabile. Irripetibile. Uno sguardo che tuttavia si ripete da oltre quattro decenni. Uno sguardo attualissimo partito da lontano. Uno sguardo autentico che attira gli occhi e al contempo il cuore all’unisono.

E’ il tempo dell’amore, che veramente non ha età.

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Citazione: da La comunità fragile di Luigino Bruni – Città nuova ed. 2022

Immagine in evidenza: Sguardo misterioso al sole by GiFa 2022


Il dono del lampone

Chi cerca trova, ma per trovare veramente occorre cambiare modalità di ricerca

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Inizialmente avevo pensato ad un titolo diverso: la regola del lampone oppure la legge del lampone. Alla fine ho scelto il titolo esposto perché ho sentito questa cosa più come un dono, disinteressato da parte della Terra madre, solo successivamente come un insegnamento.

Da qualche tempo in un piccolo orto coltivo i lamponi, le cui radici mi sono state donate molti anni fa da un caro parente, amante della natura. Avrei tanto preferito altri frutti di bosco, per esempio le more. Poi sono arrivati i lamponi e questi si sono ambientati nella dimora di famiglia, in montagna, e hanno lentamente fruttificato, di anno in anno sempre di più. Anche io mi sono adattato: preferirei le more perché hanno un sapore acidulo e poi sono ricche di vitamine e molto altro. I lamponi invece, pur sostanziosi come vitamine, sono molto più dolci, morbidi e delicati. E’ proprio per questo che non li preferirei alle more di rovo, che assaporo molto di più.

In ogni caso si tratta di piante che non tutti apprezzano per la loro capacità di essere fastidiose. Infatti tendono a moltiplicarsi a tal punto da essere bollate come infestanti. Io, però, tra more e lamponi ho trovato una sostanziale differenza. Mentre le more sono prevalentemente bene in vista e si possono cogliere a colpo sicuro evitando le spine ben distribuite sui gambi della pianta, i lamponi sono prevalentemente nascosti. Infatti le piante singole non mettono bene in evidenza i frutti che devono essere cercati sotto le foglie e al raccoglitore capita facilmente di sentirsi pungere dai gambi distribuiti sul terreno in modo disordinato.

C’è una cosa particolare che mi colpisce dei lamponi.

Quando credi sia finita la raccolta, eccone spuntare di nuovi. E ancora, quando credi siano esauriti, giorno per giorno, ne vedi di nuovi e se guardi bene, sotto tra le foglie, ne scopri altri che se ne stavano in attesa, ma ben coperti, quasi giocassero a nascondino.

Per andare bene ho scoperto una regola di comportamento: non mi fermo soltanto ad alcuni punti di osservazione, ma ne pratico di nuovi e di diversi in modo che l’individuazione dei lamponi maturi possa avvenire completamente. Solo e soltanto in questo modo si possono godere tutti i frutti offerti dalle piante. Mi colpisce proprio questa circostanza: non puoi dare per scontato di averli scovati tutti, ce n’è sempre qualcun altro ben nascosto. Talvolta non è sufficiente alzare le foglie o abbassare i gambi spinosi, serve proprio un punto di osservazione altro, diverso. Certi miei movimenti di ricerca dei frutti mi colgono di sorpresa e mi rido addosso in solitudine, essendo decisamente comico, ma sono posizionamenti utili a vedere i lamponi che non si vedono negli appostamenti usuali.

Un po’ come nella vita: è sempre utile assumere punti di vista diversi per vedere le cose in maniera diversa, senza fermarsi alle prime impressioni. Fa bene innanzitutto a noi che lo facciamo, un po’ come le vitamine dei lamponi.

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Citazione: by GiFa 2022

Immagine: Raspberries by Pixabay


Senza social

Le cose sono due: o sei social o non sei nessuno.

In questi giorni sto cercando di tenere a bada il grande fastidio che continua a crescere in me leggendo o ascoltando quanto sta avvenendo nel mondo virtuale. Lo tengo a bada perché lo sappiamo in tanti quale sarebbe la scelta più ovvia da fare il mese prossimo. Invece io ci tengo ad esercitare i miei diritti e quindi se voglio farlo è meglio che riesca a non farmi condizionare da questo immane senso di fastidio. Mi riferisco in particolare, in questo periodo, ai salotti tv e ai post sui social che dovrebbero essere educativi o almeno utili e costruttivi e non gare di mega-manipolazione, di insulto e di menzogna. Non ci sono soltanto i politici e politicanti, ma anche persone qualsiasi che di tutto parlano, spesso senza sapere di cosa stanno trattando. Sono gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, qui al maschile, ma vale anche al femminile. Cito parzialmente Leonardo Sciascia. Anzi il grande scrittore andava giù di brutto ben di più, ma questo è un altro discorso.

Nei miei piani c’era da tempo l’impegno di limitare il più possibile l’abbeverarmi al pozzo del mondo virtuale. Non ci sono ancora riuscito, ma ho deciso di dare un taglio netto e forte a questo bere. Una dieta ferrea quindi. Purtroppo mi è necessaria perché tocco costantemente con mano quanto sia distante la realtà odierna dall’approccio dei media citati. Spesso vale anche per i giornali che fanno da continua cassa di risonanza. Infatti, e non voglio generalizzare, accade giornalmente che testate storiche e consolidate riportino quanto viene scritto su Facebook, Twitter, ecc. e che spesso non me ne può fregare di meno oppure rischia di intrappolare l’attenzione su questioni di retro bottega.

Oggi il virtuale ci dice che ci sono varie cose da cambiare nel sistema e per questo occorre il nostro voto. In genere sono slogan, luoghi comuni e vere e proprie favole, che, tra l’altro, cambiano nel giro di poche ore. Forse questa frenetica corsa all’autodistruzione potrà divertire qualcuno, peccato però che al contempo ci sono milioni di poveri assoluti e che anche questo dato è in forte crescita, non cresce soltanto il prezzo del gas o l’inflazione. E si potrebbe dire ben di più.

Su questo esempio possiamo trarre la certezza che la realtà è una cosa (le bollette che stanno arrivando a tutti non sono bufale) e quanto tutti leggiamo o raccontiamo sui social è un’altra cosa che ci distrae e ci porta fuori partita.

E poi se non si scrive qualsiasi cosa sui social non ti senti parte della società. Non sei protagonista. In definitiva credo che ormai o possiedi un profilo social e non esisti. Riguarda chiunque, ad ogni età.

Penso che sia importante, non soltanto per me, non sprecare più di tanto energie e tempo per concimare il mondo social, riuscendo invece a ripristinare le vere app che contano e che, a mio parere, partono dai bisogni autentici di ognuno. Da dentro di noi.

Nel mio caso sento bisogno di prendere la distanza in modo deciso dal virtuale di massa e di dedicarmi a ciò che conta veramente e che può avvenire nell’incontro reale tra le persone. In quella che considero la connessione autentica, riuscire per esempio nella vita di tutti i giorni ad essere più assertivo ma anche più vitale e di stimolo con gli altri.

Dunque meno virtualità e più attenzione alle relazioni: cercare di sintonizzarmi con gli altri, ascoltando attivamente, rispettando i diritti di chi mi sta innanzi facilitando il reciproco arricchimento interiore; nello scrivere e nel parlare raccontando e raccontandomi in modo semplice e chiaro in ogni occasione con le parole ma anche con ogni altro mezzo disponibile; esprimermi al meglio, mostrando le parti di me, dichiarando i miei stati d’animo; instaurare relazioni soddisfacenti puntando alla condivisione di bisogni, valori e obiettivi.

Senza social si può vivere e vivere bene.

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Citazione: da codencode.it/essere-o-non-essere-social-siamo-liberi-di-scegliere/

Immagine: eyes by Pixabay

Riferimenti nel testo: Il giorno della civetta – Leonardo Sciascia – Gli Adelphi